Anche il premio Nobel turco per la letteratura, Orhan Pamuk, che non si era messo sulla scia dei detrattori di Tayyip Erdogan durante la rivolta di Gezi park a giugno, ha detto basta all’arroganza del primo ministro, alla vigilia delle elezioni comunali più cruciali, per una volta, delle politiche. Ha scritto un appello a più voci intellettuali intitolato “restituiteci la parola”. Attraverso la richiesta di riaprire twitter e Youtube evidenziando lo stato infimo in cui versa la libertà di stampa nel Paese che 12 anni fa il premier aveva promesso di liberare dal giogo dei militari e dai loro metodi illiberali. I media turchi lo hanno ignorato e se anche lo avessero diffuso, non avrebbe cambiato di una virgola l’esito elettorale. Anzi, i milioni di turchi – 1 su 5 su un totale di 74 milioni di persone – che oggi sceglieranno il nome dei candidati sindaci del partito di Erdogan, Akp (giustizia e sviluppo), nonostante gli scandali quotidiani che dal 17 dicembre lo vedono coinvolto con alcuni esponenti del suo inner circle, compreso il figlio primogenito Bilal, lo voteranno perché lo ritengono vittima di un complotto ordito dall’ex imam moderato Fetullah Gulen, un tempo suo sodale, nonché una potenza in termini di seguaci nei posti chiave dello Stato.
Come il suo grande amico Silvio Berlusconi, Tayyip Erdogan non ama essere criticato. Dalla rivolta di Gezi , a giugno, alla Tangentopoli del 17 dicembre, fino all’ipotesi di un video a luci rosse e all’intercettazione telefonica (pubblicata su Youtube, da qui la chiusura) della scorsa settimana in cui il capo dei servizi Hakan Fidan, vicinissimo a Erdogan, e il ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, ordivano un bombardamento in una zona della Siria confinante con la Turchia, probabilmente per distrarre l’attenzione degli elettori dagli scandali, Tayyip ha ripetuto lo stesso mantra: “Io e il mio partito siamo vittime di un complotto”. Parole che ha urlato fino a due giorni fa quando, in uno dei tantissimi comizi, la sua voce è scesa al punto da costringerlo a un ridicolo farsetto. Un contrappasso, lui che ha tolto la voce a una sessantina di giornalisti – la Turchia è la prigione a cielo aperto più popolosa per i giornalisti, più della Cina, tanto che è al 154° posto su 180 paesi del World press freedom index – che il politico astuto, quale ancora è, potrebbe però rigiocare a proprio favore. “È un uomo passionale, sincero, ha perso la voce perché, pur essendo premier, non ha esitato ad andare in giro per tutto il paese a parlare con la gente per far capire quanto sia importante che i comuni di Istanbul e di Ankara vadano ai nostri candidati sindaci”, dice un elettore dell’Akp che fa servizio volontario alla sede di Galata Kulesi, nel cuore del quartiere più turistico della megalopoli, Beyoglu.
Ogni sera, durante la campagna elettorale è stata distribuita gratuitamente la cena a centinaia di poveri. Perché, pur essendo in testa nei sondaggi, il partito di Erdogan potrebbe perdere molti voti e il municipio della capitale Ankara a favore del candidato del partito kemalista più forte dell’opposizione, il Chp, partito repubblicano del popolo. Il cui candidato sindaco di Istanbul, Sarigul, pur essendo molto noto, non riuscirà a riportar indietro il calendario di 14 anni, quando, per la prima volta dopo la nascita della Repubblica turca di Ataturk, fondata sulla laicità, la prima poltrona della città più importante della Turchia, ponte per antonomasia tra Europa e Oriente, andò a un politico dichiaratamente islamico: Tayyip Erdogan. Dopo il suo arresto e il carcere per un anno, a causa della declamazione pubblica dei versi di una controversa poesia: “I minareti saranno le nostre baionette”, Istanbul tornò brevemente laica, per poi far rotta verso l’Akp. Se oggi i timoni delle navi Istanbul e Ankara dovessero anche leggermente virare, per il premier le porte della presidenza della Repubblica, a cui continua ad aspirare, potrebbero chiudersi prima di esser aperte, ad agosto, quando ci saranno le prime elezioni presidenziali a suffragio universale.
Oltre 50 milioni di cittadini di 81 province sono chiamati alle urne per rinnovare sindaci e amministrazioni locali. Gli orari di apertura dei seggi sono dalle 7 alle 16 nella zona orientale della Turchia e dalle 8 alle 17 nelle province occidentali. Stando ai sondaggi è atteso che il partito di Erdogan abbia la meglio sull’opposizione. L’Akp ha però provato ad abbassare le aspettative ponendosi come obiettivo il 39% ottenuto nelle elezioni locali del 2009. I sondaggi, poco affidabili, danno al partito islamico fra il 30% e il 48%, e fra il 25 e il 33% al Chp, a seconda del grado di vicinanza al potere. Una sconfitta del partito islamico sarebbe un vero e proprio terremoto elettorale. Le sfide nel mirino sono quelle per la poltrona di sindaco di Ankara e Istanbul, da cui si potrebbe evincere un’eventuale erosione della base elettorale di Erdogan. La battaglia per il controllo di Istanbul sarà con ogni probabilità determinante. Le previsioni danno un testa a testa fra l’uscente, l’islamico Kadir Topbas, e il popolare candidato dell’opposizione Mustafa Sarigul. Il Chp spera di strapare all’Akp anche la capitale Ankara, in mano all’uscente Melih Gokcek da 20 anni. Una sconfitta nelle due più grandi città del Paese sarebbe difficilmente superabile per Erdogan e potrebbe innescare una rivolta interna nell’Akp.
da il Fatto Quotidiano di 30 marzo 2014
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