L’acqua contaminata dalla mega discarica Montedison di Bussi era pericolosa per la salute umana e bisognava vietarne l’erogazione entro 24 ore. Per Luciana Di Croce, direttore tecnico dell’Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente di Pescara, non c’erano dubbi: “Dal momento che è stata accertata la presenza di sostanze potenzialmente a rischio per la salute umana… Sarebbe stato necessario vietare l’erogazione e la distribuzione delle stesse acque, data la possibilità di fonti idriche alternative”. E’ questo uno stralcio delle dichiarazioni rese dalla Di Croce al comandante della Forestale di Pescara, Guido Conti, il 29 luglio del 2009. Bisognava intervenire entro poche ore e invece, per decenni, 700mila persone (come afferma in un’approfondita relazione l’Istituto superiore di sanità) hanno bevuto e utilizzato acqua contaminata dalle discariche del grande polo chimico.

La Di Croce, che ha mantenuto l’incarico fino al 2012, come riportato nel verbale affermava: “Considerato che, nel caso di specie, la contaminazione riguarda le acque prima dell’attingimento per il consumo e quindi acque sotterranee, il superamento dei parametri. Avrebbe dovuto comportare l’attivazione delle procedure operative e amministrative… In capo al soggetto responsabile dell’inquinamento, e la messa in opera entro 24 ore delle misure necessarie di prevenzione, nonché l’onere di immediata comunicazione alle autorità competenti”.

In molti sapevano, ma nessuno ha avvertito gli abruzzesi. Nel settembre 2004, l’Azienda consortile acquedottistica di Pescara, in una lettera inviata a Regione, Arta, sindaco di Bussi, Asl e Ato sostiene che “le risultanze analitiche attestano un inquinamento da tetracloroetilene, tricloroetilene e cloroformio dalla falda dei pozzi Sant’Angelo di Castiglione a Casauria, nonostante sia garantita la potabilità grazie alla miscelazione con la sorgente Giardino”. Il 14 febbraio 2007, l’Aca scrive al prefetto in relazione all’uso dell’acqua dei pozzi e alla miscelazione con l’Acquedotto del Giardino. Secondo la nota dell’Aca, “non si configura il caso della miscelazione vietata… ma trattasi semplicemente del ‘trasporto’ in un’unica condotta di acqua di diversa provenienza ma entrambe con caratteristiche di potabilità”.

E’ così che, con una diversa dicitura, la “miscelazione” (illecita secondo la legge) diventa “trasporto in un’unica condotta”. Un gioco di parole che per Augusto De Sanctis del Forum abruzzese Movimenti per l’acqua, “sarebbe tragicomico se non parlassimo di uno dei peggiori scandali ambientali e sanitari d’Europa, vissuto sulla pelle di bambini, anziani e donne incinte. Così invece rimane solo il lato tragico”. Nello stesso verbale che raccoglie le dichiarazioni della Di Croce, si legge che “la diluizione di acque potabili inquinate per riportarle ai limiti di legge non è consentita… Tale operazione inoltre non comporta un’accertata diminuzione del rischio per la salute umana, dal momento che la miscelazione non può essere tenuta costantemente sotto controllo e monitorata”.

Tutto questo viene confermato anche da Massimo Ottaviani, direttore del reparto Igiene delle acque interne dell’Istituto superiore di sanità, che viene ascoltato dalla Guardia forestale il giorno successivo alla Di Croce (30 luglio 2009). “In questo caso, la miscelazione non poteva comportare una diminuzione del rischio per la salute umana – affermava Ottaviani commentando l’elenco delle sostanze rilevate nell’acqua – condivido quanto esposto dalla dottoressa Di Croce… Inoltre tengo ad aggiungere che la presenza di queste sostanze è un potenziale rischio per la salute dell’essere umano”.

 di Melissa Di Sano e Antonio Massari

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