Ho firmato e invito a firmare l’appello promosso da Libertà e giustizia, convinta che vi sia un concreto pericolo di svolta autoritaria sia nel contenuto che nei modi con cui si vuole mettere mano al bicameralismo e all’articolo V della nostra Costituzione.
Il premier Renzi presenta il sostanziale depotenziamento del Senato come “uno spartiacque tra chi vuole cambiare e chi vuole far finta di cambiare”, nel solito gioco di prestigio tra vecchio e nuovo, tra cambiamento e conservazione, tra riforma e immobilismo, in cui i contenuti scompaiono.
Ma l’ordinamento della Repubblica previsto dalla Seconda Parte della Costituzione non è un problema di costi e di ragionieri: è il risultato di un sanguinoso cammino di libertà che ci ha portato dalla condizione di sudditi a quella di cittadini, frutto di tre guerre di indipendenza e di due guerre mondiali. Vi si può certo metter mano, ma solo abbracciando gli ideali dei Padri costituenti, non brandendo una retorica di attivismo insofferente dei vincoli – che peraltro ha già mostrato la sua china funesta agli albori del fascismo.
Questo è l’orizzonte e la sostanza che la riforma descritta nel testo del ddl costituzionale del governo rischia di dimenticare e stravolgere, perché il problema dell’equilibrio fra i poteri dello Stato, il conflitto fra potere esecutivo e potere legislativo, fra governo e Parlamento, non è nuovo: è vecchio almeno quanto la storia dell’Europa moderna.