Il procuratore generale di Milano Daniela Meliota aveva avanzato una richiesta “per intervenuta prescrizione” sottolineando la responsabilità degli imputati: "È un nonsenso giuridico dire che c'è evidenza della conclamata innocenza degli imputati". L'ex Cavaliere in primo grado era stato condannato a un anno di carcere con l’accusa di concorso in rivelazione del segreto d’ufficio. I giudici avevano invece condannato il fratello a due anni e tre mesi per ricettazione
Come da copione anche il processo per l‘intercettazione Fassino-Consorte, pubblicata sulle pagine de “Il Giornale” quando non era ancora stata depositata agli atti dell’inchiesta sulla scalata Unipol-Bnl, il processo è finito con una dichiarazione di prescrizione. La II corte d’Appello di Milano l’ha dichiarata per Silvio e Paolo Berlusconi, imputati per la pubblicazione dell’intercettazione Fassino-Consorte legata al caso Bnl-Unipol. I giudici hanno confermato il risarcimento di 80.000 euro per Piero Fassino, parte civile nel processo.
Il procuratore generale di Milano Daniela Meliota aveva avanzato una richiesta “per intervenuta prescrizione” sottolineando la responsabilità degli imputati: “È un nonsenso giuridico dire che c’è evidenza della conclamata innocenza degli imputati”. L’ex Cavaliere in primo grado era stato condannato a un anno di carcere con l’accusa di concorso in rivelazione del segreto d’ufficio. I giudici avevano invece condannato il fratello a due anni e tre mesi per ricettazione.
È “impensabile” sostenere che la pubblicazione su “Il Giornale” della intercettazione sia avvenuta “senza l’avallo di Silvio Berlusconi” aveva detto Carlo Federico Grosso, legale di Piero Fassino. L’avvocato aveva osservato che “la segretezza era rilevante perché la telefonata non era stata nemmeno sbobinata”, e che la sua pubblicazione non solo aveva danneggiato “il segretario del maggiore partito avverso” e non come sostiene la difesa il partito (Ds), ma era avvenuta in un momento politico particolare: pochi mesi dopo, infatti, ci furono le elezioni vinte, poi, dal centrosinistra”.
Secondo i giudici di primo grado quello dell’ex presidente del Consiglio fu un “ruolo decisivo” nella pubblicazione della conversazione che gli fu fatta ascoltare, secondo l’accusa, la sera di Natale del 2005. Senza “l’apporto” del Cavaliere “in termini di concorso morale, non si sarebbe realizzata la pubblicazione, posto che la presenza in quel luogo e data, certamente significativa, già di per sé, costituiva il passaggio necessario per l’ulteriore sviluppo della propalazione della notizia alle persone che non ne erano a conoscenza” Berlusconi ascoltò “attraverso il computer, senza alcun addormentamento (…)” la registrazione audio della telefonata intercettata. E poi decise di farla pubblicare: “la qualità di capo della parte politica avversa a quella di Fassino, rende logicamente necessario il suo benestare alla pubblicazione della famosa telefonata”.
Durante l’udienza preliminare l’ex premier aveva negato dichiarando di “essere assolutamente contrario alle intercettazione che considera barbarie e perché contrarie al diritto di segretezza delle comunicazione, sancito dalla Costituzione, quale espressione del diritto di libertà dell’individuo” e per questo “mai avrebbe consentito ad ascoltarne a casa sua, né suo fratello glielo avrebbe mai proposto”. Ma i magistrati non gli avevano creduto anche perché avevano preso in considerazione i tempi dello scoop.”Va inoltre considerato il periodo in cui venne effettuata la pubblicazione, a quattro mesi dalle elezioni e nel pieno delle vacanze natalizie, periodo di scarsa affluenza di notizie politiche più importanti: l’interesse politico delle intercettazioni era pertanto evidente così come la volontà di darvi risalto”. Del resto la famosa frase “è rimasta impressa nella memoria collettiva, segno dell’efficacia dell’operazione mediatica di cui è stata oggetto. Così efficace da rimanervi dopo anni”.