La ministra della Salute Beatrice Lorenzin è preoccupata per il calo demografico e vorrebbe proporre un “piano nazionale della fertilità”. Lo dichiara in un’intervista concessa ad Avvenire sostenendo che sarebbe utile “educare alla maternità” e che “va riscoperta la bellezza di diventare madri in età più fertili”.
A parte chiedermi dove sia stata la ministra negli ultimi vent’anni dato che non si è accorta che le donne di figli non ne fanno o li fanno a 40 anni per via di una precarietà che i vari governi, incluso quelli di cui lei ha fatto e fa parte, hanno promosso, vorrei capire poi dove risiede l’origine di un tale ragionamento.
Viviamo in una nazione in cui se i figli li vuoi proprio fare e ti serve usare la procreazione medicalmente assistita devi sopravvivere a una corsa a ostacoli chiamata legge 40 che ha visto anche il favore della Lorenzin. Se vuoi adottare un figlio la situazione è ancor peggiore, se possibile. Se poi quei figli volessero essere concepiti e cresciuti in famiglie omogenitoriali allora ci si mette di mezzo la chiesa cattolica che dice che non va mai bene. Se i figli sono stranieri e arrivano con una nave, via Mediterraneo, va già bene se non muoiono in mare o se non vengono rinchiusi nei Cie grazie alle leggi sull’immigrazione.
Cosa si chiede alle donne dunque? Di coltivare la convinzione che sia una grande fortuna essere baciate dalla naturale “capacità” di figliare – e al macero tutte le altre – e di fare figli italiani, per la patria e per produrre manodopera destinata alla schiavitù e ad arricchire altri capitalisti? E – già che ci siamo – perché non immaginare una tassa da far pagare alle “nullipare”?
Pensavo fosse passata l’epoca in cui il corpo e l’utero delle donne appartengono allo Stato. Evidentemente non è così. Più le donne culturalmente contrassegnate con un marchio di fragilità consegnano i corpi alla tutela dello Stato e più lo Stato immagina, forse, di poter utilizzarli a proprio vantaggio. Ma i corpi delle donne non sono corpi di Stato. Essere donna non vuol dire essere necessariamente madre. Prima di parlare di genitorialità bisogna parlare di opportunità e reddito.
Se non c’è un reddito, se lo stato sociale viene smantellato, se non ci sono asili, servizi, se il ruolo di cura è delegato alle madri che restano economicamente dipendenti, se non si discute di suddivisione equa dei compiti in famiglia, di congedi parentali e molto altro ancora è inutile parlare di piani nazionali della fertilità. Inutile perché non puoi fare figli in “età fertile” se ancora combatti per ottenere un’autonomia economica con i datori di lavoro che temono le gravidanze come fossero la peste.
Inutile perché quei figli restano sul groppone di genitori precari che se si separano, tra l’altro, non smettono mai di fare guerre tra poveri immaginando che una donna senza reddito possa contare su chissà chi e che un uomo con uno stipendio di 1200/1400 euro possa pagare affitto, bollette, benzina, alimenti e anche dare 350 euro mensili di mantenimento al figlio, più la condivisione delle spese mediche, scolastiche e per le attività extra, senza ridursi in povertà.
Inutile perché è lo Stato che vuole i figli per aggiustare un po’ di conti ma alla fine il costo di tutto questo lo pagano le donne e gli uomini precari che spesso possono contare solo su uno stipendio, scarso, e nella migliore delle ipotesi dovranno chiedere ospitalità e soldi ai loro genitori fino ad esaurimento scorte che spesso non ci sono neanche più.
A tutto ciò aggiungi il fatto che bisognerebbe smettere di pensare la sessualità delle donne sempre e solo in termini riproduttivi, perciò l’Italia non può offrire ulteriori argomenti per legittimare la violenza che una donna subisce ogni volta che le viene negato il diritto alla libertà di scelta, all’accesso alla contraccezione, inclusa quella d’emergenza, e all’assistenza sanitaria affinché possa abortire senza incontrare un esercito di obiettori che la obbligano, di nuovo, a morire in clandestinità.
Se le donne, ma anche gli uomini, non godono di diritti e autonomia economica non saranno in grado di poter sviluppare concretamente la propria capacità di essere individui, persone, e se non puoi essere un individuo a godere dei diritti che ti spettano, di che genitorialità vuoi parlare?