Di fronte al dilagare dei sentimenti antieuropeisti ed euroscetticisti sono portata ad interrogarmi su quanta consapevolezza ci sia in chi tali posizioni sostiene – certamente non immuni da una forte dose di intento propagandista e populista – e nell’elettore, che certamente resta confuso dai discorsi elettorali di chi ha perfettamente capito che basta lanciare strali contro l’Ue per vincere le elezioni.

Certamente vi è un problema di ritardo nel processo di integrazione comunitaria e, certamente, è difficile che l’incapacità dell’Ue a fronteggiare la crisi del debito pubblico che sta colpendo alcuni Stati Membri – unitamente alle politiche di austerity che tutto ciò ha comportato – possa alimentare un sentimento di fiducia nei cittadini europei: ma può considerarsi questo sufficiente per smantellare l’intero impianto? E, soprattutto, perché utilizzare la tornata elettorale per le europee facendo leva su questo sentimento di sfiducia e rabbia dei cittadini, indirizzandolo verso l’unico organo dell’Unione che i cittadini possono eleggere e che può costituire un avamposto di rappresentatività?

Non bisogna dimenticare, infatti, che il Parlamento Europeo* – a differenza della Commissione e del Consiglio, che sono costituiti da un parterre di nominati dagli Stati Membri – è l’unico organo eletto a suffragio universale e con le preferenze, così come non si può prescindere da una presa di coscienza sui soggetti che realmente incidono sulle politiche comunitarie e sulle loro reali responsabilità.

La preoccupazione di chi scrive è che il sentimento antieuropeista possa diventare un grimaldello per chi, facendo leva sul sentimento di malcontento dei cittadini europei, voglia portare avanti tutt’altro tipo di pericolosissimi “valori”.

Eppure sarebbe interessante chiedere a questi novelli economisti: siamo veramente sicuri che il nostro Paese sia pronto ad abbandonare l’Eurozona, affrontando una sicura (e ulteriore) fuga di capitali all’estero, l’aumento del debito, dell’inflazione e dei tassi d’interesse? Si valuta seriamente l’impatto inflazionistico che una tale scelta potrebbe portare con sé?

Non si può negare che le politiche economiche europee, ultimamente fondate sull’austerity, siano impossibili da tollerare. Ma la soluzione non è certo la fuga dallo spazio comunitario. Anzi. Punto di partenza imprescindibile deve certamente essere la ridiscussione dei parametri, ormai vetusti, del trattato di Maastricht, quella tristemente famosa soglia del 3% che tanti sacrifici impone ai cittadini; così come utili potrebbero rivelarsi una roadmap per salvare la moneta unica e una battaglia seria per rendere l’Unione Europea non solo economica, ma anche politica.

Vogliamo mettere in dubbio un’Europa che, pur con la sua lentezza e le sue lacune, garantisce la risoluzione dei conflitti con il negoziato invece che con le bombe? Io no.

*Molti non sanno che battaglie condotte all’interno del Parlamento Europeo hanno fatto (e possono ancora fare) la Storia. Un esempio su tutti sono la direttiva confisca (nonostante le resistenze tedesche, austriache e polacche) e la risoluzione su mafie, corruzione e riciclaggio. Grazie a questi Testi, l’Europa potrà acquisire il know-how italiano (migliorato, pure!) della lotta alle mafie: si va dall’inserimento in tutti gli ordinamenti degli Stati Membri del reato di associazione mafiosa e del regime carcerario 41bis, dalla confisca dei beni all’aesclusione da gare d’appalto per i condannati, dall’abolizione del segreto bancario a quella dei paradisi fiscali.

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