Quanto vale il patrimonio artistico italiano? Un metodo originale, basato sui prezzi relativi, per stabilire il valore economico dei nostri capolavori. Esercizio tutt’altro che facile: parte della malinconia della “Grande Bellezza” sta proprio nell’impossibilità di ricavarne qualcosa.
di  e  (Lavoce.info, 1 aprile 2014)

Quanto vale un’opera d’arte?

Nei giorni de La grande bellezza, in cui il patrimonio artistico italiano fa da sfondo alle macerie di un civismo in caduta libera, e mentre Renzi cercava in Europa l’approvazione per le sue riforme e le relative coperture, ci è tornato in mente, si perdoni la citazione scacciapensieri, il celebre episodio in cui Totò, nel 1962, cercava di vendere la Fontana di Trevi per 10 milioni di lire al povero Decio Cavallo. La domanda è: vi siete mai chiesti se il prezzo richiesto fosse alto o basso?

Difficile dirlo. Se è vero che ogni cosa ha un prezzo, non fanno certo eccezione le opere d’arte. Determinarne il valore, però, sembra una questione molto più complessa che per altri beni. Spesso poi è controversa la stessa proprietà e disponibilità dell’opera: ancora oggi lo Stato e il comune di Firenze litigano sul David di Michelangelo, nonostante la natura evidentemente pubblica di entrambi i contraenti.

Un metodo di attribuzione di prezzo alle opere d’arte assai consolidato deriva dalla loro fruizione. Molte stime, cioè, si basano sul giro d’affari (legato al turismo) che una determinata opera può generare. Ma questo approccio è incompleto e, in qualche modo, troppo indiretto.

Una valutazione più articolata è quella basata sul brand index di Simon Anholt e della società Brand Finance. Si tratta di una sorta di indicatore di reputazione economica per una serie di “prodotti” italiani in senso lato. Tra questi compaiono anche il Colosseo (valutato 91 miliardi di euro), il Duomo di Milano (82 miliardi) e la Fontana di Trevi (78 miliardi, con buona pace di Decio Cavallo). Questa stima è forse eccessivamente complessa ai fini della nostra proposta ma offre uno spunto interessante: il brand delle nazioni viene valutato rispetto a sei macrodimensioni e l’Italia ottiene il podio in tre di queste e precisamente in “Turismo”, “Cultura” e “Persone”. Mediocre invece la performance in “Investimenti”, “Esportazioni” e “Governance”.

Il metodo che vogliamo illustrare in questo articolo non è, però, legato ai flussi turistici del Belpaese né alla commercializzazione del suo brand, ma risponde a un principio molto semplice dell’economia: quello dei prezzi relativi.

Il metodo

Il ragionamento si sviluppa in modo assai lineare: anzitutto, siamo partiti dalla ricerca del prezzo delle opere d’arte più costose vendute nel mondo negli ultimi 10 anni. Degli autori per i quali è stato possibile abbiamo poi rintracciato, sui siti di aste di opere d’arte più accreditati, disegni, schizzi o bozzetti, eventualmente in vendita, con il relativo valore d’asta. Per l’ultimo passaggio, abbiamo sfruttato il ritrovamento, in un inventario realizzato da Sotheby’s di una villa nel Regno Unito, di un disegno originale di Michelangelo (che raffigura una persona coperta da un mantello appena abbozzata con il carboncino), venduto dalla casa d’asta per 3,5 milioni di euro nel 2004. Partendo da quest’ultima informazione, infine, abbiamo impostato la proporzione seguente che, attraverso il meccanismo dei prezzi relativi, ci consente di stimare il valore di un capolavoro michelangiolesco, ovviamente con una serie di caveat:

Prezzo di un disegno di [Es. Cezanne] : Prezzo di un quadro di [Es. Cezanne] = Prezzo di un disegno di Michelangelo : Prezzo di capolavoro di Michelangelo [X]

Come detto, sono disponibili i prezzi dei 10 quadri più costosi venduti negli ultimi dieci anni e acquistati da privati. Per diversi autori degli stessi, sui siti di Christie’s e Sotheby’s è possibile trovare dei bozzetti o dei disegni. Individuando il valore di tali disegni, perciò, abbiamo derivato una sorta di coefficiente di moltiplicazione che, applicato a Michelangelo, ci consente di effettuare una stima del valore di un’opera finita.
La tabella seguente mostra titolo, prezzo del quadro e prezzo del disegno:

Tabella 1

Cattura29

I coefficienti di moltiplicazione, ottenuti dal rapporto e da utilizzare per ottenere il prezzo dell’opera di Michelangelo, sono i seguenti:

Tabella 2

Cattura30

Come si nota immediatamente, si tratta di valori giganteschi, il che tra l’altro è in parte giustificato dall’esplosione del mercato delle opere d’arte e anche da una maggiore volatilità di prezzo legata ad autori contemporanei e più mediatici (basti pensare al coefficiente decisamente “pop” di Warhol).
Abbiamo perciò ripetuto l’operazione, laddove possibile, con due pittori e artisti del Rinascimento, per verificare la consistenza dei moltiplicatori in relazione a un contesto storico contemporaneo a Michelangelo e distante dalla mediaticità roboante del mercato dell’arte odierna.
In particolare, abbiamo potuto ripetere l’esercizio per due opere di Guercino e Botticelli:

Tabella 3

Cattura31

Innanzitutto, è interessante notare come i moltiplicatori siano più bassi in corrispondenza di autori che conservano un legame diretto con la rappresentazione naturalistica: l’astrattismo, infatti, agisce come una sorta di detonatore del moltiplicatore. I moltiplicatori ottenuti, sono comunque molto alti:

 Tabella 4

Cattura32

Un valore volatile

C’è ovviamente un forte elemento di soggettività nel parametrizzare un’opera d’arte e questi coefficienti, in parte, riflettono tale criticità. Anche per le opere di cui è disponibile il prezzo, infatti, c’è da chiedersi: fino a che punto si tratta di capolavori dell’artista autore del quadro e non, piuttosto, di un prezzo che riflette il brand dell’autore stesso e la possibilità che una sua opera sia sul mercato? Appare ragionevole, infatti, sostenere che un conto è parlare de Il sogno di Picasso e un altro, invece, sarebbe individuare il prezzo di vendita di Guernica.

Proprio per questo e per adottare stime tutto sommato conservative, abbiamo scelto di concentrarci sull’opera di Michelangelo forse più famosa e discussa, il David, nonostante, a rigor di logica, avrebbe più senso concentrarsi su un quadro (per esempio, il Tondo Doni).

Ora, fatte le debite proporzioni, e applicato il ragionamento qui sopra descritto, giungiamo ad un prezzo, per il David, che varia da 2,1 miliardi di euro (applicando il coefficiente di moltiplicazione più basso, quello di Guercino) a 35 miliardi di euro (con il moltiplicatore più alto, quello di Warhol).

La diatriba richiamata più sopra tra Comune e Stato e concernente la proprietà del David a questo punto  varrebbe molto più dei 10 milioni di euro che ogni anno i turisti versano per ammirare il capolavoro nella Galleria dell’Accademia. Anzi, con una provocazione assolutamente naif, il prezzo individuato col criterio più prudenziale basterebbe a finanziareun terzo del piano di riduzione delle tasse annunciato dal presidente Renzi.

Più ragionevolmente, tuttavia, questo esercizio serve a mostrare l’enorme difficoltà nella valutazione e monetizzazione del patrimonio artistico, evidenziando una contraddizione di policy non irrilevante: la malinconia della grande bellezza sta anche nella difficoltà pratica di ricavarne qualcosa. Come nel film di Sorrentino, siamo spettatori/attori, quasi rassegnati, di un antico teatro bellissimo ma che non aggiunge più valore.

(1) Si tratta del valore per cui il quadro è assicurato

Luciano Canova 
Attualmente docente di economia ed economia comportamentale alla Scuola Mattei di Enicorporateuniversity, si occupa di economia pubblica, economia dello sviluppo ed economia ambientale. Di ritorno in Italia dopo due anni di esperienza alla Paris School of Economics nell’unità Microsimula (valutazione delle politiche pubbliche) ha conseguito il dottorato in Modelli Quantitativi per la Politica Economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e, in precedenza, un Master of Arts in Development Economics alla University of Sussex. 

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