Davvero imbarazzante la performance di Ezio Mauro ieri sera da Lilli Gruber.
Certo, non deve essere comoda la posizione da direttore del quotidiano la Repubblica, il cui organigramma redazionale prevede la figura del “fondatore” (per metà umana e per metà ascesa anzitempo nel pantheon dei santi laici) titolata a dare la linea al giornale alla faccia dell’apparente responsabile (il Mauro), con la stessa ieratica solennità di Mosè quando consegnava le tavole della legge al popolo eletto: trattasi di lenzuolate domenicali più pesanti delle pietre del monte Sinai.
Ovviamente si parla di Eugenio Scalfari, che piazza i paletti tra cui l’ansimante Mauro deve fare il proprio slalom quotidiano. Ossia negare l’evidenza del pasticcio che sta creando lo scomposto agitarsi di Renzi. Andando al tempo stesso in rotta di collisione con tutte le “grandi firme” del proprio giornale, che hanno promosso e sottoscritto un documento di tenore contrario; in cui si denuncia l’indiscutibile deriva autoritaria che unifica i vari passaggi nel caotico percorso renziano. Che invece Mauro prefigura come riformismo di nuovo conio.
Resta da capire il motivo per cui tutte le principali testate giornalistiche si prestino a fare da grancassa alle pretese di Matteo Superbone: gabellare l’happening futurista tipo Filippo Tommaso Marinetti per un programma di salvezza nazionale.
Difatti Mauro sembrava quasi vergognarsi ripetendo il concetto-trappola che opporsi al nuovo corso politico (partito con la benedizione di Silvio Berlusconi) significa propugnare posizioni conservatrici. Anche perché così dicendo squalifica, bollandoli da conservatori, tutti i suoi più prestigiosi collaboratori; da Stefano Rodotà a Gustavo Zagrebelsky. Però fa contento il divo Eugenio (Scalfari), insieme a Ferruccio de Bortoli e un po’ di altri veri conservatori. Cosa si ha da fare per la pagnotta (del resto dorata, seppure amara)? Magari ritrovarsi sulle stesse posizioni de il Foglio di Giuliano Ferrara, che si accoda lietamente al gioco di scompaginare il quadro politico con le categorie mistificatorie di innovatore e non.
Come se cambiare per cambiare avesse una carica innovativa; non una valenza mistificatoria, che lascia presupporre ben altri obiettivi inconfessati.
Comunque c’è da chiedersi cos’abbia il nostro Superbone (oltre aver conquistato di slancio ambite poltrone) per toccare il cuore e assicurarsi la benevolenza di tanti autorevoli megafoni dell’establishment. Probabilmente gioca la natura “futurista” della sua proposta politica, intesa come pura espressione di vitalismo; che si agita senza toccare l’argenteria di casa e neppure i tasti del ponte di comando.
Il motivo per cui – tutto sommato – nel “bieco ventennio” l’establishment si accordò tranquillamente con Mussolini, chiudendo un occhio sulle pagliacciate tipo trebbiare il grano a torso nudo, il culto delle levate mattutine (“s’alza il sole, canta il gallo/ Mussolini balza a cavallo”) o quello del frenetico (“amare le donne, amare la velocità/ amare le donne in velocità”, con il dubbio su quanto le signore fossero soddisfatte di tale fretta). Tutte tematiche mussoliniane (giovanilismo, insonnia, frenesia) care anche a Berlusconi e ora riportate a nuovo dal neo premier; il quale condivide con l’establishment mobilitato in suo appoggio (e i suoi predecessori Silvio e Benito) la convinzione che occorra tenere a bada il popolo bue. In quanto il problema italiano sarebbe quello di non disturbare il manovratore. Difatti, anche grazie al poderoso supporto mediatico, per ora gli speciali effetti futuristici pare stiano riuscendo a riportare nell’area della controllabilità una quota importante dell’indignazione per una qualità politica al di sotto dello scadente.
Così almeno ci dicono i sondaggi. Che non saranno smentiti fino alle prossime elezioni europee. Anche se il timing delle riforme segna il passo e le logiche dei provvedimenti sono ormai riconosciute intimamente controriformistiche anche dai non ostili preconcetti. Tanto gli ottanta euro per la mancia a una buona fetta di elettorato saranno trovati di sicuro.