L’avvocatura negli ultimi 25 anni ha radicalmente cambiato pelle, per colpe proprie e altrui. In peggio però. Lo attestano i numeri: si è passati da 45 mila a 225 mila. Un numero sproporzionato rispetto alle esigenze (di patrocinio nell’area giurisdizionale e in quella stragiudiziale).
Lo attesta l’indecente atteggiamento del legislatore: nell’ultimo quarto di secolo le fonti normative e regolamentari sono cresciute in modo abnorme, scriteriato, irragionevole. A detrimento della certezza del diritto (e dei diritti). Lo attesta il crescente atteggiamento bulimico della giurisprudenza, oscillante tra il creativo (sino all’arbitrio) e l’incertezza vera e propria del diritto (corte che vai, orientamento che trovi). Lo attesta lo scorretto atteggiamento dei mass media pronti ad affibbiare l’etichetta di “casta” all’avvocatura, genuflessi a Confindustria.
Un’avvocatura per metà composta da under 43enni e da donne, dunque da soggetti più esposti alle intemperie di una società che è cambiata in peggio, anche in termini di impoverimento economico (i redditi degli ultimi anni sono in picchiata).
Un’avvocatura che da qualche decennio sconta gli stessi mali della politica e della società: è governata quasi sempre dagli stessi, anche grazie a sistemi elettorali che non consentono sempre il suffragio universale. A livello istituzionale abbiamo dunque – a livello locale – molti Ordini governati da decenni dagli stessi presidenti. A livello apicale un Consiglio Nazionale Forense nominato solo dagli Ordini. E solo la Cassa Forense si è da ultimo rinfrescata, ma continuando a scontare un indecente sbarramento nell’elettorato passivo, oltre al sistema del voto di lista.
L’avvocatura è ancora vittima di un forte conservatorismo, che se da un lato si pone come baluardo a difesa della dignità di una veste professionale delicatissima e sui generis quale la “tutela dei diritti”, dall’altro ha ostacolato un’evoluzione moderna verso le cangianti esigenze della società civile. Molte le scelte sbagliate intraprese dalla governance dell’avvocatura nell’ultimo periodo. In difetto assoluto di assunzione di responsabilità, nella migliore tradizione italiana.
Se siamo troppi la responsabilità è di chi ha consentito la vergogna del concorso territoriale senza freni inibitori, quando a Reggio Calabria (e in altri fori) si superava l’esame di Stato con punte prossime al 99 per cento. E non pretendendo filtri all’accesso nell’università o come scuola di specializzazione. Quante migliaia di avvocati di dubbia preparazione abbiamo al nostro interno?
Se il livello deontologico dell’avvocatura non è incentrato sul rigore assoluto forse la responsabilità è di molti Ordini che invece di esercitare le funzioni “pubblicistiche” a riguardo del procedimento disciplinare, le hanno interpretate come ultraprivatistiche. Senza comprendere che la taratura deontologica è a baluardo della dignità della professione forense, non solo al proprio interno, ma soprattutto all’esterno (che si traduce in credibilità e in termini di consenso e apprezzamento).
Se abbiamo fatto battaglie sbagliate è perché qualcuno le ha condotte. Oggi si celebra come una vittoria di Pirro quella sulle parcelle (“Il Cnf esprime grande soddisfazione per la firma (…) da parte del ministro Guardasigilli (…) del nuovo decreto ministeriale che aggiorna i parametri forensi, cioè i valori di riferimento per la liquidazione da parte del giudice dei compensi dei legali o per la loro determinazione in caso di disaccordo tra avvocato e cliente.”) invece di aver colto in contropiede il furbacchione Monti che sulle finte liberalizzazioni ha fatto reclame. Invece di rivendicare, proprio perché professione liberale, il pieno diritto di negoziare libere parcelle con i clienti e di sottrarre il potere ai magistrati di condizionare per intero le parcelle.
Non siamo stati in grado di rivendicare il diritto di godere della stessa aliquota agevolata Iva sulle parcelle, perlomeno pari a quella che vige in materia edilizia (dal 4 al 10 per cento). Forse che la tutela dei diritti vale di meno?
Non siamo stati in grado di prendere in contropiede chi vuol far credere che l’avvocatura sia composta da evasori, pretendendo la piena deducibilità (o anche in parte) dal reddito Irpef delle parcelle. D’un colpo ogni tentazione evasiva sparirebbe.
Non abbiamo compreso le preziose opportunità della Adr (Alternative Dispute Resolution) così subendo una grottesca “mediazione” ex lege. Abbiamo spesso parlato in polifonia perché il protagonismo di alcuni veniva prima dell’unitarietà. Non siamo stati in grado di difendere pienamente la veste privata di Cassa Forense (al pari degli altri Enti previdenziali dei professionisti intellettuali) che si sorregge esclusivamente sui contributi dei propri iscritti ma che viene saccheggiata dallo Stato con spending review e altre manovre finanziarie. Non siamo stati in grado di pretendere serie riforme per la Giustizia, nell’interesse di tutti i cittadini.
Dobbiamo invece partire dall’autocritica per guardare al futuro, tra fasti del passato e necessaria modernità. Usciamo da questo narcisismo. E soprattutto non opponiamoci al cambiamento. Al nostro interno.