Il film, diretto da Giulio Base e interpretato da Francesco Pannofino, è la trasposizione del "Il pretore di Cuvio" del 1973. L'osservatore del mondo della provincia settentrionale scrisse decine tra romanzi e racconti brevi, iniziando ad avere un successo di pubblico fuori dall’ordinario attorno ai 50 anni, quando nel 1962 uscì “Il piatto piange”
Piero Chiara, chi era costui? Torna nelle sale cinematografiche dal 3 aprile 2014 con Il Pretore, diretto da Giulio Base e interpretato da Francesco Pannofino, la trasposizione di un racconto breve – Il pretore di Cuvio (1973) – del colpevolmente dimenticato scrittore di Luino (Varese). Nato nel 1913 sul Lago Maggiore, Chiara fu uno di quei casi commerciali e critici che animò il panorama della letteratura italiana tra gli anni sessanta e ottanta. Il sornione osservatore del mondo della provincia settentrionale scrisse decine tra romanzi e racconti brevi, iniziando ad avere un successo di pubblico fuori dall’ordinario attorno ai 50 anni, quando nel 1962 uscì “Il piatto piange”. Da lì in avanti fino alla morte avvenuta a Varese nel 1986, i suoi libri furono un record di tirature dietro l’altro con oltre 400mila copie vendute in media per ogni titolo.
Il cinema, e la tv, si impossessarono dei suoi scritti fin da subito rendendoli, con la collaborazione diretta di Chiara, script mai così felicemente memorabili in immagini come lo erano stati sulla carta. Gli esempi più riusciti furono comunque: Venga a prendere il caffè da noi (1971), tratto da La spartizione, La stanza del vescovo (1976) e Il cappotto di Astrakan (1979). “L’unica soddisfazione è di carattere economico”, dichiarò lo scrittore luinese a metà anni ottanta, “Apprezzo quei registi come Lattuada o Risi che riescono a rispettare abbastanza lo spirito del libro, ma inevitabilmente ci sono cadute nell’erotismo che nelle mie opere non si trovano. Quando un uomo e una donna vanno a letto, io mi fermo fuori della stanza: lascio lì i miei personaggi. Il cinema invece entra nella camera, piazza la macchina da presa e ritrae tutto. Proprio tutto”.
Al centro di ogni racconto di Chiara sono sempre emersi, richiamando un modello alla Balzac, quelle esistenze di provincia tranquille in superficie ma segretamente devastate da passioni tumultuose, poi filtrate attraverso uno sguardo e una penna mai moralista. “Nel film ambientato durante gli anni trenta in provincia di Varese nella Valcuvia”, spiega il regista Base al fattoquotidiano.it, “c’è la trama essenziale del libro di Chiara: il triangolo lui-lei-l’altro, l’abuso di potere, il perbenismo di provincia, la giustizia che non arriva mai e quando arriva non rappresenta mai la scelta più giusta, insomma tematiche più che attuali”. Protagonista de Il pretore è Augusto Vanghetta (Pannofino), fortunosamente finito a rappresentare la legge dopo la prima guerra mondiale, uomo dagli appetiti sessuali voraci dentro e fuori i bordelli di paese, protagonista cornificato di una tresca tra il suo assistente di studio e la moglie apparentemente sterile con tragico epilogo per tutti. Una trasposizione filologica, quella firmata Base, girata nei luoghi originari del libro di Chiara, fortemente voluta dall’attrice protagonista luinese Sarah Maestri.
“Curo la regia di Don Matteo da 10 anni”, spiega Base, “e ricevo un trattamento snobistico che trovo un po’ stupido dal cinema sedicente intellettuale un po’ come Chiara subì all’apice della sua carriera”. Piero Chiara fu un atipico e bizzarro antifascista (“il fascismo fu la condizione inevitabile di un popolo che non aveva tradizioni di libertà (…) gli italiani hanno sempre amato la sottomissione e ne sono continuamente in cerca anche oggi”, spiegò negli anni settanta), finito massone nelle fila del partito liberale, arrivato ad un successo editoriale paragonabile a volumi d’affari alla Fabio Volo o Andrea Camilleri, infine ostracizzato dalla critica letteraria nel momento in cui il suo nome andava a ruba tra gli scaffali delle librerie: “La mia scrittura è mercimonio intellettuale? Prostituzione narrativa?”, rispondeva il luinese nel 1984 all’intervistatore Davide Lajolo, “oso pensare che vi sia, in questi venti anni di sempre rinnovato favore dei lettori, un significato critico non trascurabile, in qualche modo somigliante a quello per i libri del passato etichettati come classici proprio perché erano piaciuti a tutti: agli uomini di cultura e anche ai semplici lettori, fra i quali si annidano milioni di persone più intelligenti e più dotate di fiuto artistico dei cosiddetti uomini di cultura”.
Il trailer del film