L’amministratore delegato uscente di Eni, Paolo Scaroni, non ha parlato con il presidente del Consiglio, Matteo Renzi e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, dopo la condanna a tre anni per disastro ambientale alla centrale Enel di Porto Tolle. “No, perché francamente pensavo di essere assolto. Non mi è mai passato per l’anticamera del cervello di poter essere condannato per una cosa di cui non mi ha mai parlato nessuno, che è successa 10 anni fa, anzi non si è mai verificata, perché non c’è stato nessun disastro ambientale”, ha detto il manager parlando a margine di un’audizione al Senato.
“Sono rimasto piuttosto sorpreso”, ha quindi aggiunto. Mentre dal canto suo la Borsa inglese ha fatto sapere che la condanna in primo grado ricevuta per la centrale veneta non cambia la posizione del manager che del London Stock Exchange è vicepresidente non esecutivo. L’attenzione generale, in ogni caso, è sul rinnovo sempre meno probabile dell’incarico nel gruppo petrolifero pubblico che nel 2013 ha versato a Scaroni 5,81 milioni di euro. La retribuzione, si legge nella presentazione fatta dal manager al Senato mercoledì 2 aprile nel corso di un’audizione, è del 24,8% inferiore rispetto ai compensi percepiti in media dagli amministratori delegati delle principali compagnie petrolifere europee (Shell, Bp e Total) tutti sopra i 7,6 milioni di euro.
La retribuzione di Scaroni negli ultimi tre anni è lievemente diminuita: 5,96 milioni nel 2011 e 5,90 nel 2012. La media dei concorrenti è invece cresciuta, sottolinea la presentazione. Guardando invece la remunerazione considerando la retribuzione fissa, il bonus annuale, l’incentivo erogato e benefit-indennità vari, il totale per Scaroni nel 2013 è ammontato a circa 4,5 milioni. Nelle slide è anche evidenziato a quanto ammonta, almeno in parte, il trattamento di fine mandato (o di risoluzione del rapporto di lavoro): c’è un’indennità integrativa composta da una parte fissa di 3.200.000 euro e una parte variabile calcolata sulla media delle performance del triennio 2011-2013, c’è poi un patto di non concorrenza di 2.219.000 di euro erogabile dopo 1 anno dalla cessazione del rapporto e infine un trattamento previdenziale/contributivo per il rapporto di amministrazione parificato a quello dirigenziale.
“Allo Stato italiano abbiamo versato negli ultimi nove anni 29,7 miliardi di euro, di cui 12 miliardi di dividendi e 15 miliardi di tasse”, ha poi rivendicato il manager davanti alla commissione Industria del Senato passando all’analisi della sua gestione e affermando che in sostanza Eni “ha pagato allo Stato italiano il doppio o quasi il triplo dei dividendi pagati da Enel più Terna più Finmeccanica. Noi siamo di gran lunga i principali contributori al nostro Tesoro in termini di dividendi”. E ancora: “Negli ultimi 9 anni il titolo Eni ha reso agli investitori il 61%. Le nostre concorrenti con Total, Shell, Bp o Repsol hanno reso il 53% mentre il settore utility, molto penalizzato, ha reso solo il 16 per cento”. Quindi negli ultimi 9 anni “Eni ha fatto bene: non lo diciamo noi ma il mercato finanziario”.