L’offensiva antigay messa in atto dalle gerarchie religiose e da certi gruppi cattolici ad esse collaterali ha per bersaglio la cosiddetta “ideologia del gender”. Queste realtà utilizzano tale definizione – agitata come male assoluto – verosimilmente per clericalizzare le scuole pubbliche, rendendole luoghi in cui indottrinare le nuove generazioni.
Il “gender”, per come è narrato, si configura però come un’invenzione dei cattolici. Semmai esistono gli studi di genere o Gender studies, nati dalla sinergia di diverse discipline (giuridiche, sociologiche, psicologiche, linguistiche, ecc). Essi sostengono che fino ad oggi la società si è strutturata sulla prevalenza di un genere su un altro. Il maschilismo, attraverso il patriarcato, ha imposto per millenni il controllo sociale su donne e infanzia, reprimendo le diversità. Una tra tutte, l’omosessualità.
Questo modello ha prodotto fin troppe vittime. Basti pensare al fenomeno delle spose bambine attualmente presente in alcuni paesi islamici e in passato diffuso anche in quelli cristiani. Gli studi di genere affermano che questo è insostenibile: chiunque deve essere messo nelle condizioni di vivere la sessualità secondo la propria identità. Semplificando: se sei gay, lesbica, trans, hai diritto di amare chi vuoi e di essere come vuoi. Se sei eterosessuale, pure.
I movimenti integralisti non possono accettare questa evidenza perché mette in discussione la gerarchia di valori che sta alla base della loro visione della vita e che ha il solo risultato di lasciare la società in preda agli squilibri che nascono dall’idea che essere maschio, eterosessuale e possibilmente bianco e cristiano sia una condizione superiore a qualsiasi altra.
I libretti dell’Unar e i corsi di formazione su come prevenire i fenomeni di bullismo omofobico a scuola mirano sostanzialmente ad evitare violenze e discriminazioni contro una parte della popolazione scolastica percepita come “non eterosessuale” (salvaguardando, quindi, anche quegli/lle adolescenti che non sono Lgbt ma che vengono scherniti/e come tali) ed educando tutti e tutte a un maggiore rispetto reciproco. Cosa c’è di sbagliato in questo? Se fossi genitore non vorrei finire in situazioni già verificatesi in passato per cui un ragazzo si uccide per omofobia e poi ritrovarmi i media a descrivere la scuola dove va mio figlio come luogo in cui si permette di istigare al suicidio persone più fragili. Eppure un’iniziativa di buon senso viene scambiata per proselitismo a favore dell’omosessualità.
A tal proposito alcune di queste associazioni – Manif pour tous Italia, ad esempio – hanno prodotto dei vademecum per difendersi dal “gender”, per cui si opera come segue: si legge il Pof (il piano dell’offerta formativa delle scuole) e se si trovano frasi come “educazione sessuale” o “educazione all’affettività”, si allertano i genitori e si monta la protesta per evitare che si parli di certi argomenti. Si è pure pensato di proporre piani di assenze programmate per opporsi a queste buone pratiche di convivenza civile.
Da insegnante, sostengo che questi ostacoli debbano essere superati con un po’ di buon senso: basterà semplicemente inserire a livello individuale – almeno fino a quando il ministero della Pubblica Istruzione non provvederà in merito – questi argomenti anche nei programmi di italiano, letterature classiche, storia, geografia, educazione alla cittadinanza, lingue, arte e scienze, discipline previste nel piano di studi. Celebrare la Giornata contro l’omofobia (che cade il 17 maggio), come scritto in una circolare dell’allora ministro Profumo che garantisce una copertura burocratica in tal senso. E ricordare, qualora si registrassero ulteriori ingerenze, che la Costituzione tutela il diritto di libertà di insegnamento.
Se poi pensate che sia una strada in salita, vi racconto una storia: tempo fa fui richiamato dalla dirigenza della scuola in cui insegnavo proprio perché avrei parlato del 17 maggio. Feci notare ai miei superiori che, così come non mi ero curato della “sensibilità” di genitori antisemiti o misogini in occasione del Giorno della Memoria e della Giornata Internazionale della Donna, non mi sarei posto il problema della presenza di genitori omofobi, proprio per quella che era ed è la mia missione: fare dei miei allievi e delle mie allieve persone migliori. Non ci crederete, ma nessuno è mai venuto a lamentarsi.