Politica

Berlusconi e il brutto vizio della meritocrazia della parlantina

La scorsa settimana i tifosi di Forza Italia hanno voluto ricordare il ventennale della “discesa in campo” del loro fondatore e leader Berlusconi, e naturalmente, dovendo occuparsi proprio del suo beniamino, l’apologetico Bruno Vespa ha “cucinato” per il suo pubblico una trasmissione quasi interamente dedicata al “grande evento”. In effetti il grande evento è tale solo perché la grande disgrazia dell’Italia è cominciata proprio in quello sciagurato 1994, che ha consentito ad un imprenditore già discusso e discutibile di impadronirsi di tutte le leve del potere politico, istituzionale (ed economico) italiano per un ventennio .

So benissimo che anche prima del 1994 l’Italia ha visto passare sui gradini più alti della politica e delle istituzioni personaggi non solo discutibili, ma proprio colti con le mani nel sacco. Tuttavia, se e consentito a Vespa di fare l’apologetico sulla tv pubblica a favore di un personaggio che non ha certo fatto bene all’Italia, non vedo perché ci si dovrebbe astenere dal proporre un sentimento esattamente contrario su un quotidiano che ha pieno diritto di farlo, essendo libero e indipendente.

Voglio subito essere chiaro dicendo che Berlusconi mi è persino simpatico, come lo è a molti che lo votano, e lo considero un imprenditore geniale come pochi al mondo, ma questo non ha praticamente niente a che fare con le capacità necessarie a guidare una grande democrazia che, nonostante tutto, quando lui è “sceso in campo” aveva ancora una economia in crescita (nonostante il debito) e una posizione di grande prestigio tra i maggiori paesi industrializzati del mondo.

Non è che ho aspettato adesso per dire queste cose, io le dicevo già vent’anni fa, e chi mi conosce personalmente lo sa. Perché non ci vuol molto a capire che un imprenditore che ha solo saputo sfruttare molto bene il suo intuito e la sua “perspicacia” non era adatto a guidare una grande democrazia. Infatti, nonostante si sia costruito subito, grazie alle sue amplissime disponibilità economiche e al suo vasto potere sui media nazionali, un “partito” su misura per le sue esigenze, ha sempre avuto grossi problemi nella gestione democratica del potere, insofferente a tutti i rituali e ai doveri istituzionali propri di ogni democrazia. Ogni volta che gli rinfacciavano di non aver raggiunto qualcuno dei suoi obbiettivi si scusava sempre accusando gli altri, alleati ed oppositori, che non lo “lasciavano lavorare”.

Dovrebbe essere chiaro a chiunque abbia almeno un concetto elementare di cosa è una democrazia che queste semplici dichiarazioni bastavano già a definirlo inadatto a governare. Nemmeno i monarchi, al giorno d’oggi, possono permettersi di governare un paese pretendendo che gli altri lo “lascino lavorare”, figurarsi se ciò è possibile in una democrazia parlamentare! Ma lui non lo ha capito nemmeno dopo le sue prime sconfitte elettorali, anzi, proprio le sconfitte lo hanno convinto che necessitava ancor più di potere pressoché assoluto. E ha agito di conseguenza, creando un partito di nominati e circondandosi solo di persone di assoluta fiducia. Proprio come fa un boss nella propria azienda.

Ma un’azienda è democratica? Solo quelle pubbliche lo sono in qualche misura, quelle private non lo sono e non lo possono essere. Ma a lui non è mai interessato. La gente lo votava lo stesso. E quando uno viene eletto col voto è democrazia, no? No! Se uno che viene eletto non rispetta tutte le regole della democrazia, anche quelle non scritte, non è democrazia, è un surrogato di democrazia.

Quel che è più grave però è che i suoi avversari politici, invece di mettere sotto la lente questi difetti per farli diventare macroscopici e far capire al popolo la differenza, hanno pensato di prendere la scorciatoia della giustizia o, come sta facendo Renzi adesso, la scorciatoia del “pragmatismo” democratico. Da lì nascono tutti gli obbrobri pseudocratici che hanno portato prima al “bipolarismo” poi alla “porcellum”, e alle “leggi ad personam”, alle alleanze impossibili (solo lui poteva allearsi e tenere insieme un partito “nazionalista” con uno “secessionista”). E tutte le altre invenzioni partitocratiche per aumentare il potere dei partiti e togliersi il fastidio di ricercare il consenso sulle cose serie.

Il costo lo stiamo pagando noi con le miriadi di leggi “partitocratiche” che, sulla falsariga di FI, poi PdL, poi ancora FI, ha contagiato nella gestione piramidale del partito anche quelli che venivano da tradizioni ben diverse. I costi della politica sono esplosi perché questo tipo di sistema non funziona poggiando sulle competenze, la solidarietà e l’altruismo dei politici, ma al contrario sull’ambizione, l’arrivismo e “l’opportunismo”. Finendo col portare (nei casi migliori) al vertice dei partiti non i politici più bravi in senso tecnico, ma solo quelli più bravi a “bucare lo schermo” televisivo e più abili a sostenere gli infuocati battibecchi dei talk-show.

Vogliamo allora parlare di riforme? Cominciamo da questa: piantiamola con la meritocrazia della parlantina e del culto della personalità e diamo invece al popolo la possibilità (e le modalità!) per portare in Parlamento e al governo gente seria, capace e rispettosa delle vere regole della democrazia.

Questa riforma è molto più urgente che quella dell’abolizione del Senato (tra l’altro per nulla necessaria). Per non parlare poi dell’orrendo Italicum, da buttare subito nella spazzatura se non si vuole peggiorare la situazione già comatosa della nostra povera democrazia.