Politica

Legge elettorale e riforma del Senato? In linea con la tenace tradizione ‘italica’

Nel 1923 Giacomo Acerbo, sottosegretario alla presidenza del consiglio del governo presieduto da Benito Mussolini, propone una legge di riforma elettorale per la Camera (il Senato – come disposto dallo Statuto Albertino – è di nomina regia), che prevede un premio di maggioranza di 2/3 alla lista che raccolga almeno il 25% dei voti sul piano nazionale. Gli altri seggi vengono divisi secondo un criterio proporzionale. Non ci sono sbarramenti e vige il voto di preferenza. Il suffragio è universale maschile. Il Parlamento approva.

Nel 1928 una nuova legge prevede che si possa votare una sola lista di «candidati», scelti dal Gran Consiglio del Fascismo: un elettore può esprimersi solo con un sì o con un no. Nel 1939 la Camera dei Deputati viene definitivamente abolita e sostituita dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni. I membri di questo nuovo organismo non sono elettivi, ma vi entrano o in quanto membri del Gran Consiglio del Fascismo, o in quanto membri del Consiglio Nazionale del Partito Fascista, o come membri del Consiglio Nazionale delle Corporazioni in rappresentanza dei sindacati e di altri organismi di regime.

Nel 1952 Mario Scelba, ministro dell’interno del governo presieduto da De Gasperi, propone una riforma elettorale che prevede che la lista o la coalizione che prenda più del 50% dei voti abbia il 65% dei seggi. Tra il 1952 e il 1953 comunisti e socialisti si oppongono strenuamente per impedire l’approvazione della legge. Nel marzo del 1953 la legge viene definitivamente approvata, e con essa si va a votare nelle elezioni del giugno di quello stesso anno. La coalizione alla quale hanno aderito Democrazia Cristiana, Partito Socialista Democratico Italiano, Partito Liberale Italiano, Partito Repubblicano Italiano, Südtiroler Volkspartei e Partito Sardo d’Azione prende il 49.8% dei voti. Il premio non scatta. La legge viene abrogata nel 1954.

Le riforme del 1923 e del 1953 introducono il principio secondo cui ci sono elettori il cui voto vale di più di quello di altri per il semplice fatto di essere parte della maggioranza, relativa o assoluta. Le leggi del 1928 e del 1939 cancellano ogni vestigia di rappresentatività.

Ebbene, dovessi trovare delle matrici ideali per il Porcellum, per l’Italicum, o per la non elettività del Senato, non le cercherei certo tra le pagine di On Liberty di John Stuart Mill. Né proverei a rinvenirle in qualche improbabile comparazione con altri sistemi elettorali. Poiché mi sembra basti osservare che queste norme o questi progetti recenti si pongono in linea di continuità con una tenace tradizione italica (per l’appunto).