In molti, nel fiume di persone attese a Roma dal 18 aprile al 1 maggio, in occasione di una serie di eventi che culmineranno con la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, troveranno forse il tempo per una visita alla Basilica di San Giovanni. Di certo faranno di tutto per non lasciarsi sfuggire l’occasione per raggiungere il Colosseo, per una passeggiata lungo via dei Fori imperiali. Non è improbabile che saranno la gran parte di essi a rimanere delusi. Di più meravigliati. Non tanto per l’anfiteatro ingabbiato da ponteggi che faranno ritrovare alla struttura una maggiore stabilità, oltre che i cromatismi originari. Forse neppure per il degrado del suo intorno, sotto forma di centurioni e di ogni genere di ambulanti. A stupire turisti italiani e stranieri saranno proprio i cantieri della metro C.

Quel che si vede da fuori. Da un lato, sotto Villa Rivaldi, mutilata della recinzione affacciata su via dei Fori imperiali, l’imponente parete in cemento armato. Storia consumata ormai da qualche settimana. Un’aggiunta che i romani, distratti da mille pensieri, sembrano aver prodigiosamente già aver metabolizzato. Sul lato opposto, le strutture poderose della basilica di Massenzio perimetrate sul lato esterno da contrafforti metallici. Più avanti, in direzione del Colosseo, tra la basilica e il tempio di Venere e Roma in quella striscia di terreno nel quale c’era il prato, si lavora. Anche qui un muro in cemento armato, speculare a quello sul lato opposto. Soltanto meno alto.

Nello spazio interno, tra il muro moderno e le strutture antiche in opera cementizia, con una imponente trivella si scavano pali. Accanto ci sono le gabbie metalliche che pian piano vengono calate negli scavi conclusi. Per poi essere riempite di cemento armato. Le opere moderne si stanno portando a termine in un’area nella quale in passato si rinvennero resti della Domus Aurea, la celebre residenza neroniana derubricata, ma non cancellata dall’incendio del 64 d.C. Ma il problema a questo punto, dopo quel che si è fatto e si prosegue a fare, non è nemmeno la distruzione di eventuali parti antiche. La perdita, seppur dolorosa, sembra quasi ormai incontrastabile. Almeno per i sostenitori della metro C ad ogni costo.

“Alcuni anni or sono fu bandita da taluni, accecati dall’eccessivo loro amore per Roma… una crociata contro i moderni distruggitori o trasformatori di essa. Ci chiamarono neo-barbari, neo-vandali o peggio. Gli accusatori nostri ignorarono o finsero di ignorare gli immensi benefici ottenuti a costo di perdite relativamente miti”. Parole queste pronunciate da Rodolfo Lanciani, uno dei più grandi archeologi italiani di tutti i tempi, durante l’inaugurazione del magazzino Archeologico Comunale del Celio. Il tema della “distruzione di Roma antica” preminente in diversi studi del Lanciani. Nella prospettiva della continuità di vita della città antica, sempre cresciuta consumando se stessa. Una specie di giustificazione storica anche per le trasformazioni di Roma moderna.

A rileggere questi pensieri, espressi tra l’ultimo decennio dell’Ottocento ed i primi del secolo successivo, vien quasi da pensare che quel che sta accadendo ad alcuni complessi archeologi, in coincidenza dei cantieri della metro C, possa trovare una sua giustificazione. Allora come adesso la “distruzione di Roma antica” quasi una circostanza ineludibile. Per fare della città una moderna metropoli. Così non è. Anche se sono in molti a pensarlo. Anche senza conoscere Lanciani. Eppure, anche in Italia, in contesti ugualmente critici dal punto di vista archeologico, non mancano esempi di reti metropolitane la cui realizzazione non ha comportato il sacrificio di quanto scoperto. A Napoli la Linea 1 da tre mesi ha raggiunto i 16 chilometri e con l’attivazione della stazione Garibaldi è arrivata a 17 fermate. Tutte di alta qualità, tutte progettate da architetti famosi. Da Gae Aulenti (stazione Dante) a Karim Rashid (l’Università), passando per Fuksas (la Duomo), Perrault (Garibaldi), Siza (la Municipio), Botta (Tribunali e Poggioreale) e Rogers (Capodichino).   

Ma lasciando da parte Lanciani e il presunto, naturale, consumo di Roma, Napoli e le sue stazioni da copertina, il punto è un altro. Il problema più grave. Nei cantieri di via Sannio e piazzale Ipponio e, soprattutto, via dei Fori Imperiali, si sta privando la città, i suoi abitanti, l’Italia intera, di un paesaggio profondamente storicizzato. Che verrà restituito non solo modificato. Ma radicalmente trasformato. Forse con l’aggiunta di un collegamento metro. Il patrimonio di tutti dissacrato. Con sufficienza. Con l’alterigia di chi decide, mostrando di non prestare alcun attenzione al contesto. Ma in questo caso l’intento non è quello che mosse Duchamp ad aggiungere all’immagine della Gioconda di Leonardo dei baffi ed un pizzetto. In quel caso si trattava di una riproduzione fotografica, in questo dell’originale. Lì solo di un’aggiunta, qui anche di una sottrazione.

La Roma che si mostra pulita ed ordinata per la visita di Obama, ma che subito dopo ritorna ad essere la città immobilizzata dalla sua crescente anarchia, non sembra poi così interessata a quel che sta accadendo in uno dei suoi luoghi simbolo. Alla mortificazione alla quale si sta sottoponendo uno spazio di tutti. Del quale l’archeologia è parte. Ma non l’unica. Anche se una delle più importanti. 

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