La Camera ha approvato il disegno di legge Delrio che riforma le province. Il testo è passato a Montecitorio, senza modifiche, con 260 sì, 158 no e 7 astenuti. A votare a favore del ddl sono stati il Partito democratico, il Nuovo Centrodestra, Scelta Civica e Popolari per l’Italia. Contro si sono pronunciati Forza Italia, M5S, Lega, Sel e Fratelli d’Italia. Il ddl era uscito dal Senato lo scorso 26 marzo.
Durante la votazione il capogruppo di Fi Renato Brunetta ha più volte urlato “Golpe! Questo è un golpe! Votiamo compatti no”. Dai banchi del Pd, invece, dopo il voto, si è levato un applauso. Sono state tutte respinte le proposte di modifica presentate dalle opposizioni. Il testo approvato è quindi lo stesso licenziato dal Senato il 26 marzo scorso su cui il Governo ha chiesto la fiducia. Alle affermazioni di Brunetta ha risposto il vicesegretario del Pd Debora Serracchiani: “Non è un golpe, anzi saluto con particolare soddisfazione l’impegno preso già a suo tempo dall’attuale sottosegretario Graziano Delrio e dal presidente del Consiglio Matteo Renzi che hanno lavorato insieme al Governo per approvare una riforma importante”. Sulla riforma delle Province , ha aggiunto Serracchiani: “Come Regioni saremo pronti a presentare emendamenti che migliorino il testo e contestualmente i rapporti tra Stato e Regioni. Su questo aspetto il ministro per gli Affari regionali Lanzetta ha convenuto in pieno sul fatto che un impegno comune sarà utile per disciplinare al meglio il nuovo ordinamento degli Enti locali”.
Tra le novità contenute nel testo l’istituzione di dieci Città metropolitane, il trasferimento di alcune delle funzioni delle Province a Comuni e Regioni, la trasformazione degli organi provinciali in enti di secondo grado. Le Province già commissariate continueranno ad esserlo e quelle in scadenza saranno prorogate fino al 31 dicembre 2014, spostando al 1° gennaio 2015 il momento in cui le nuove Città metropolitane entreranno a pieno regime. Un passaggio obbligato in attesa che i due rami del Parlamento partoriscano la riforma del Titolo V della Costituzione. L’intervento secondo il piano del sottosegretario Delrio dovrebbe portare a circa 160 milioni di euro di risparmio dall’abolizione degli enti, mentre secondo i dati della Corte dei Conti, citati da lavoce.info, contando le strutture uscite dalle riforme del 2011 la misura comporterà solo 35 milioni di risparmio.
“Con l’approvazione definitiva della legge sulle Province e le città metropolitane comincia la semplificazione dell’assetto istituzionale italiano”, dice Marina Sereni vicepresidente della Camera, dopo l’approvazione definitiva del ddl Delrio. “Le nuove norme mettono in moto un processo che troverà compiuta realizzazione con la riforma costituzionale e la riscrittura del Titolo V: un percorso che trasforma le Province in enti di secondo livello, che consente il commissariamento di quelle che avrebbero dovuto essere rinnovate alle prossime elezioni, che fa concretamente partire l’istituzione delle Città metropolitane”. Dopo molti anni di dibattiti inconcludenti, conclude Sereni “si realizza il primo tassello di un disegno riformatore più ampio che mette al centro i cittadini e la necessità di alleggerire la burocrazia, migliorare i servizi, usare meglio le risorse pubbliche”.
Il ddl è discusso e contestato da molte parti. “Chiederemo al presidente della Repubblica di non promulgare il testo della legge Delrio per manifesta incostituzionalità”, ha dichiarato Renato Brunetta in una conferenza stampa a Montecitorio. “Il Quirinale – continua – non si renda complice di questa porcata“. Ad attaccare invece il premier su Twitter è Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, che scrive: “Primo vero prodigio di Renzi: finge di abolire le Province e crea 25mila poltrone in più #supereroe”. Paolo Russo, deputato di Forza Italia aggiunge: “È un gran pasticcio! Questo provvedimento non è uno svuota-province, è un riempi-province… È dannoso non per Forza Italia, ma per gli italianì”.
I deputati del M5S in aula hanno composto con dei cartelli sui loro banchi le cifre “+26.0932” e “+5.600” durante le dichiarazioni di voto. I numeri sono, ha spiegato Giuseppe D’Ambrosio deputato del M5S nel suo intervento prima delle votazioni, rispettivamente i consiglieri comunali e gli assessori in più che saranno nominati a causa dell’entrata in vigore del ddl sulle province. Una disposizione all’interno del disegno di legge contempla infatti un incremento del numero dei consiglieri comunali e degli assessori comunali per i Comuni fino a 3mila e fino a 10mila abitanti, nonché la “rideterminazione degli oneri connessi all’attività di amministratore locale, onde assicurare l’invarianza finanziaria di tali previsioni, innanzi recate dall’articolo 21 dell’A.S. n. 1212”. Nei Comuni più piccoli (fino a 3mila abitanti) il consiglio comunale sarà composto, oltre che dal sindaco, da dieci consiglieri e un numero massimo di due assessori, mentre per quelli fino a 10mila si passa a 12, più quattro assessori.
La riforma Calderoli prevedeva invece 6 consiglieri per i Comuni fino a mille abitanti, 6 consiglieri e due assessori per quelli tra i mille e i 3mila abitanti, 7 consiglieri e 3 assessori per i Comuni tra i 3mila e i 5mila abitanti e 10 consiglieri e 4 assessori per i Comuni tra i 5mila e i 10mila abitanti. La semplificazione del ddl Delrio, che prevede solo le fasce fino a 3mila e da 3mila a 10mila, porterà all’aumento del numero dei consiglieri per centinaia di cittadine e reintroduce la nomina, cancellata da Calderoli, di due assessori nei Comuni fino a mille abitanti.