Il presidente del Consiglio ha ricevuto il senatore berlusconiano a Palazzo Chigi. Con lui anche Gianni Letta. Cinque condizioni per dare l'ok sulla trasformazione del Senato
Prima le continue richieste di Silvio Berlusconi di vedere il premier Matteo Renzi, poi la visita a sorpresa da Giorgio Napolitano. Oggi il colloquio di oltre un’ora con Denis Verdini e Gianni Letta con il presidente del Consiglio. Forza Italia e il Cavaliere cercano di tornare in corsa e di riprendere in mano quel patto del Nazareno che temono sia stato accantonato e che comunque dev’essere rafforzato, a una settimana dalla decisione del giudice di sorveglianza sull’esecuzione della pena (domiciliari o servizi sociali) per la condanna definitiva per frode fiscale. A quanto riferiscono fonti di Forza Italia, durante l’incontro si è discusso dell’iter e di eventuali modifiche alla riforma del Senato e del Titolo V, non ancora incardinata in commissione Affari costituzionali a Palazzo Madama.
In particolare, secondo l’agenzia politica Public Policy, l’obiettivo è approvare prima la legge elettorale, in stand by al Senato da ormai tre settimane e poi mettere mano alla riforma del bicameralismo e del Titolo V, ma a cinque condizioni: elezioni di primo grado per il nuovo Senato, che non dovrà essere composto solo da sindaci (“ce ne sono troppi di sinistra”); no ai 21 senatori nominati direttamente dal presidente della Repubblica; no all’elezione da parte del Senato del capo dello Stato (magari con una elezione diretta da parte dei cittadini) e, infine, rafforzamento dei poteri dell’esecutivo con possibilità di revocare i ministri. A quanto viene riferito sempre , alcuni pontieri del partito solo a lavoro per raggiungere un accordo extraparlamentare sulle modifiche da apportare al testo. Ma l’accordo per le modifiche – dice un senatore forzista – “non va trovato solo con Renzi ma prima dentro Forza Italia”. Infatti, “nonostante ufficialmente – continua – Forza Italia abbia accettato i paletti di Renzi (nessuna indennità per i senatori, che non voteranno più né la fiducia né il bilancio e nessuna elezione per il Senato, ndr), mezzo partito vuole far saltare l’accordo” con la richiesta delle cinque condizioni.
Un ok di Forza Italia serve a Renzi perché i problemi ci sono anche all’interno del Pd. Dopo la presa di posizione del presidente Piero Grasso e di 25 senatori pronti a modificare la riforma impacchettata dal ministro per le Riforme Maria Elena Boschi. “La disponibilità al confronto parlamentare del governo sulla riforma costituzionale è massima – replica il renziano Andrea Marcucci – Non c’è alcuno spazio invece per tornare indietro sulla non eleggibilità diretta del Senato. Chi continua a proporla va contro l’esecutivo e le indicazioni del partito”.
Ora 22 senatori Pd hanno firmato un disegno di legge costituzionale che propone un Senato eletto su base regionale con cento membri più sei senatori eletti nella circoscrizione Estero. “Il Senato della Repubblica è eletto su base regionale, tenuto conto del necessario equilibrio di genere”, recita l’articolo 2 della bozza presentata oggi nel corso di una conferenza stampa a palazzo Madama. “Nessuna Regione – prosegue l’articolo – può avere un numero di senatori inferiore a quattro; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno”. “La ripartizione dei seggi tra le Regioni – si legge ancora – si effettuano in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interni e dei più alti resti”. Il disegno di legge costituzionale è stato firmato da 22 senatori del Pd (Chiti, Albano, Amati, Broglia, Capacchione, Casson, Corsini, Cucca, D’Adda, Dirindin, Gatti, Giacobbe, Lo Giudice, Micheloni, Mineo, Mucchetti, Ricchiuti, Silvestro, Spilabotte, Tocci Turano) e, secondo quanto riferito da Corradino Mineo, ha registrato l’adesione, al momento, di altri tre senatori di tre gruppi parlamentari diversi. Chiaro l’approccio secondo quanto dice Massimo Mucchetti: “Non ci sono da una parte il verbo e dall’altro gli infedeli”. “Il ddl – spiega Chiti – “conferma tre dei quattro pilastri posti dal governo: la fiducia concessa dalla sola Camera dei deputati; il superamento del bicameralismo paritario; la riduzione delle indennità che vengono equiparate per deputati e senatori a quella del Sindaco di Roma Capitale”. Inoltre, si arriverebbe a risparmiare di più rispetto alla proposta del governo”. “I problemi sorgono sul quarto pilastro, ovvero l’elezione diretta dei senatori che il governo Renzi non intende accettare. Il ddl costituzionale dell’esecutivo prevede che la Camera Alta sia formata da rappresentanti delle Regioni e da 21 senatori nominati dal presidente della Repubblica”.
La minoranza Pd è contraria a questa ipotesi: “Riteniamo sia giusto che siano i cittadini a scegliersi i senatori – spiega ancora Chiti – Ora che è così forte la sfiducia della gente non si deve continuare a giocare con le deleghe”. “Perché si deve togliere ai cittadini la possibilità di scegliere con il proprio voto? Mentre in Francia varano una legge sulle incompatibilità di cariche pubbliche, in Italia, dove abbiamo già la legge, andiamo in controtendenza: con il ddl del governo avremmo la sovrapposizione degli incarichi di rappresentante regionale o sindaco e senatore”.
La replica – che vale apparentemente sia per Forza Italia sia per il Pd – è del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, in audizione al Senato: “Pur nel doveroso rispetto del confronto e dei cambiamenti che queste nostre riflessioni possono apportare al testo, c’è una consapevolezza: c’è una urgenza. Nessuno vuole dare ultimatum ma stimolare una accelerazione”. “C’è una apertura – aggiunge – a rivedere le modalità di composizione del numero dei senatori riguardo i criteri proporzionali rispetto alla popolazione”. Ad ogni modo la Boschi dice di non condividere “le perplessità sulle elezioni di secondo livello: i consiglieri e i sindaci hanno una legittimazione popolare quando vengono eletti”. Una replica ai berlusconiani ma anche al presidente Grasso. “E’ un meccanismo previsto in altri ordinamenti. Se vogliamo rifarci al diritto comparato, non è una stranezza che si è inventato questo governo – conclude – ma è presente in altri Paesi di comprovata democrazia come Francia o Germania”.