Il 2 aprile di due anni fa, al largo delle coste italiane, moriva la giovanissima atleta somala, Samia Yusuf Omar. Un nome, un volto e una storia che lo scrittore Giuseppe Catozzella, con penna leggera e delicata, ha strappato all’oblio dei circa 19.372 migranti morti negli ultimi vent’anni nelle acque del Mediterraneo. Non dirmi che hai paura’ (Feltrinelli, 2014), ci restituisce grazie alla potenza della letteratura la storia di una bambina nata per correre.

Un sogno che Samia condivide con Ali, il suo amico del cuore e primo allenatore. Samia non solo non ha le scarpe, ma non ha nemmeno un posto in cui correre e allenarsi. Inizia a farlo tra le infinite difficoltà di un paese in guerra, per le strade di polvere di Mogadiscio, costretta a indossare il burqa nonostante il caldo asfissiante, e di notte di nascosto nel vecchio stadio. Contro tutto e tutti la sua determinazione e la sua volontà la porteranno alle olimpiadi di Pechino 2008, dove si farà notare nonostante il divario fisico con le altre atlete. Così capisce che per diventare competitiva deve mangiare e allenarsi bene, e decide di raggiungere la sorella a Londra per farsi trovare preparata all’appuntamento delle Olimpiadi del 2012. Ma ad aspettarla arriva un triste destino. 

Nel leggere il libro ci si ritrova con la sottilissima polvere gialla di Mogadiscio tra le mani, si sentono gli odori, il vento e il respiro affannoso di Samia. Con lei corriamo, sogniamo e infine entriamo, insieme a centinaia di migranti, nel camion che attraversa il deserto e ci sediamo sui tanti barconi che quotidianamente cercano di raggiungere Lampedusa. Catozzella ridà luce all’emorragia di migranti che dall’Etiopia al Sudan, attraversano il Sahara verso la Libia per poi arrivare via mare in Italia.

Un libro necessario, da adottare nelle scuole per mantenere viva la memoria di chi è pronto a sfidare la morte pur di conquistare una vita migliore e per non dimenticare che quel sogno ci è appartenuto e purtroppo ancora ci appartiene.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Perché Renzi ha paura del sapere critico

next
Articolo Successivo

Fotografia, la storia di Pecorino, il cane più fotografico che ci sia

next