La compagnia ha trasferito in un solo ufficio romano un elevato numero (43,7%) di lavoratori tutelati dalla legge 104. Il tribunale annulla il trasferimento per quattro di loro: “Scelta discriminatoria”. La società: “Tuteliamo la salute dei dipendenti”. Ma per il giudice è il tentativo di concentrare e cedere un ramo d'azienda
Telecom ghettizza i lavoratori disabili. Il tribunale di Roma non usa giri di parole per descrivere l’atteggiamento della compagnia telefonica nei confronti di quegli operatori che il giudice ritiene trattati come “lavoratori di serie B”. Un’accusa rispedita al mittente dalla società, che anzi rivendica l’impegno a tutelare la salute del proprio personale.
Al centro della vicenda la causa patrocinata dall’avvocato Michelangelo Salvagni, che quattro lavoratrici Telecom hanno intentato, e vinto, contro l’azienda. Le signore, tutte abitanti a Roma, sono beneficiarie della legge 104, il provvedimento che tutela le persone con handicap e chi si occupa di loro. Le dipendenti, infatti, si devono prendere cura di parenti – chi il figlio, chi la madre – affetti da gravi disabilità. La legge prevede che “il lavoratore ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.
E proprio qui sta il motivo del contendere. Telecom ha trasferito le quattro dipendenti in una divisione con sede prima in via Aurelio Saliceti, poi in via Oriolo Romano, a Roma. Si tratta di una struttura Document advanced center (Dac), che si occupa dei servizi di call center e back office, cioè attività impiegatizie. Ma le signore si sono opposte a questa decisione, portando l’azienda in tribunale per rivendicare il proprio diritto a scegliere il luogo di lavoro più adatto alle proprie esigenze. “Siamo state trasferite senza lettera, con una comunicazione verbale”, spiega Elena Lucà, una delle lavoratrici che hanno vinto la causa “Ho chiesto esplicitamente di avere delle motivazioni scritte, ma non mi hanno dato niente”. Così il tribunale, richiamando il già citato passaggio della legge 104, con una sentenza di primo grado ha annullato i trasferimenti e ordinato il reintegro delle lavoratrici nelle sedi di provenienza con le precedenti mansioni.
Sotto accusa non è solo il trasferimento in sé, ma la stessa struttura di via Saliceti. “L’ambiente di lavoro è allucinante”, racconta la signora Lucà. “Buona parte dei lavoratori di quella è portatore di handicap. Concentrare in uno stesso ufficio un numero così elevato di persone problematiche determina una situazione difficilmente gestibile”. La sentenza del tribunale di Roma conferma questo quadro. E dà i numeri: il 43,75% degli operatori di via Saliceti, si legge nel documento, beneficia della legge 104, mentre nelle altre sedi romane la media si ferma a quota 11 per cento. La concentrazione di questi soggetti è frutto di un’operazione relativamente recente: a partire da luglio 2010, prosegue il tribunale, l’azienda ha trasferito in questa sede “una percentuale di dipendenti in condizione di invalidità, handicap o assistenti di handicap pari al 36,25 per cento”.
Il tribunale sottolinea “l’oggettiva discriminatorietà della scelta datoriale”: la decisione di Telecom, secondo il giudice, “opera una sorta di ghettizzazione tra lavoratori di serie A (quelli ad alta produttività) e di serie B (quelli che per gravi problemi di salute personali o assenze a causa di familiari portatori di handicap hanno una minore resa)”. L’azienda fornisce una differente versione dei fatti. “Può accadere – spiegano da Telecom – che alcune persone, nel corso del tempo, siano ritenute inidonee dai medici competenti, o dagli enti pubblici preposti” alle attività in linea con il cliente. In questi casi, la società, “a tutela della salute dei propri dipendenti, inserisce tale personale su lavorazioni impiegatizie, attività queste normalmente prive di rischi specifici per il lavoratore”. E queste lavorazioni prive di rischi sarebbero proprio quelle svolte in via Saliceti.
Di altro avviso, invece, il giudice del lavoro di Roma. La funzione Dac fa parte di una divisione più ampia, chiamata Caring Services, che gestisce appunto le attività in linea con il cliente. E Telecom aveva deciso che proprio questo settore sarebbe stato oggetto di una societarizzazione, cioè di uno scorporo dall’azienda madre per costituire un’unità produttiva autonoma. L’operazione, in accordo con i sindacati, nel marzo 2013 è stata sospesa per un anno. Perciò, scaduti i termini dell’intesa, ora torna tutto in discussione e i lavoratori temono la vendita della divisione. “Vi sono fondati elementi – scrive a proposito il giudice – onde ritenere che ‘l’imbarco forzato’ in massa presso tale sede di dipendenti con dedotti problemi personali o familiari preluda al preconfezionamento di un ramo d’azienda che sarà oggetto di cessione”. Insomma, i “lavoratori di serie B” sarebbero ghettizzati, impacchettati e imbarcati su una scialuppa destinata ad andare alla deriva.
Un quadro che, anche in questo caso, l’azienda sembra volere allontanare. Da Telecom fanno sapere che la funzione Dac, nel novembre 2013, “è stata oggetto di un importante investimento aziendale” e di un potenziamento dell’organico “che ha comportato e comporterà nel futuro un’importante opera di internalizzazione di attività prima affidate all’esterno a salvaguardia dei livelli occupazionali”.