C’ho pensato spesso in questi cinque anni, ma qualcosa mi ha sempre frenata. Ho vissuto il terremoto dell’80, a Napoli. Avevo solo 7 anni, ma come tutti ancora oggi ricordo perfettamente cosa stavo facendo in quel momento. Quegli interminabili 90 secondi tra le braccia di mio padre, il terrore nel vedere la paura nei suoi occhi mentre tentava con tutte le sue forze di scendere le scale del pianerottolo che oscillavano con violenza. Le notti passate in macchina, per migliaia di famiglie anni nei container… Quando nel 2006 la terra tremò anche a Roma, svegliandomi, capii subito che da qualche non troppo lontano parte stava succedendo qualcosa di simile.
Molto tempo dopo, quando ruppi i legamenti crociati del ginocchio, andai a operarmi in una clinica convenzionata in un paesino a pochi passi da L’Aquila. Ci rimasi per quasi un anno. Mi innamorai subito di quella città circondata dalle montagne, piena di studenti, negozi, piazze e vicoli incantevoli. Gli aquilani gentili e schietti mi facevano sentire, da napoletana, a casa. Mi piaceva passeggiare da sola (a volte anche con le stampelle) sotto i portici per approdare nella piazza principale a bere il solito caffè nel solito bar.
Poi, qualche tempo fa, dopo aver rivisto per l’ennesima volta Draquila, il bel film di Sabina Guzzanti, ho deciso di partire. E quello che ho visto è davvero difficile da spiegare. Lì dove avevo lasciato una comunità viva e pulsante, ho trovato solo transenne, cantieri, macerie, abbandono. E un gran silenzio, interrotto solo dalle voci degli operai, unici abitanti di una città sospesa che sembra il set di un film catastrofico. Dopo una breve passeggiata, vado via. Nell’immediata periferia si susseguono le tristemente famose “new town”, costruite all’indomani del sisma. Sono le uniche case abitate, dove ancora oggi non c’è un bar, un cinema, un punto di ritrovo.
All’ingresso del corso principale campeggiava una scritta: “L’Aquila rinasce”. Lo auguro davvero a tutti gli aquilani e a tutti noi, anche se sono consapevole che niente sarà più come prima.
Andate, se potete, a L’Aquila.
Foto di @PaolaPorciello