Come al solito l’Italia guarda all’estero. A Cernobbio tutti pendevano dalle labbra di Roubini che pontificava: Renzi è l’ultima spiaggia, se vince Grillo il paese va a rotoli. L’economista del pessimismo dovrebbe farsi due conti usando gli indicatori economici italiani per capire che il Paese è da tempo che sta andando a rotoli e i motivi sono strutturali non politici. Né Renzi né nessun altro, incluso Gesù bambino, se mai decidesse di tornare in terra, potranno fermare questa deriva, a meno che si ristrutturasse completamente l’Italia. Ciò significa prima di tutto una rivoluzione culturale e politica e certamente non sarà Renzi a farla. Fino ad ora, va detto, almeno la rivoluzione grillina ha scosso gli animi.
Matteo Renzi ha fatto tante promesse, come le ha fatte Monti o Letta ma per concretizzarle bisogna restituire al paese la competitività persa. Gli ostacoli? Debito pubblico ingestibile; eccessiva e pessima burocratizzazione dell’economia; corruzione; una moneta troppo forte. Questi i più importanti. Vediamoli.
Debito pubblico pari a 2 mila miliardi di euro, il quarto più grande al mondo, al quale si accompagna una spesa pubblica di 800 miliardi di euro l’anno: ciò significa che ogni anno metà del Pil viene assorbito dalla macchina burocratica. Ma non basta, il costo della gestione pubblica italiana è il 50 per cento più alto della media europea. La cosa non ci sorprende dato che i salari dei funzionari statali sono 12 volte più alti della media nazionale, super-stupendi quindi. In Germania, dove l’economia sta decisamente meglio, sono solo 4,3 volte più alti della media nazionale. Renzi li vuole tagliare e vuole anche sfoltire le fila dei burocrati, ma andrà a sbattere la testa conto una delle lobby politiche più forti in Italia. La burocrazia non si tocca, questo il motto di tutti i governi del nostro paese.
Renzi vuole poi risparmiare 34 miliardi di euro, pari al 2 per cento della produzione annuale, per poter tagliare di 10 miliardi le tasse. Già, perché tra i tanti record che abbiamo c’è anche quello della maggiore pressione fiscale in Europa. Primo problema: cosa tagliamo? Una grossa fetta della spesa pubblica viene assorbita dalle pensioni il cui costo si è triplicato dal 1990 crescendo ad un ritmo ben più elevato di quello dell’economia, dove l’investimento di capitale è crollato in termini reali del 79 per cento. In altre parole i soldi spesi per i pensionati non solo incentivano il sistema produttivo ma sottraggono a questo le risorse.
Sul piano puramente economico, dunque, i tagli dovrebbero iniziare dal settore delle pensioni, ma è impensabile che nel clima politico ed economico attuale ciò avvenga. Secondo l’Ocse, dal 2007 il reddito medio italiano è sceso del doppio rispetto alla media europea, siamo sempre più poveri e molte famiglie vivono della pensione di uno o più membri. Morale: si taglierà la spesa per la scuola, le infrastrutture e la sanità, come è sempre successo.
Gettiamo uno sguardo a questi numeri: l’Italia ha il sistema stradale meno sviluppato d’Europa e la più bassa spesa per l’istruzione dopo quella greca. Spende solo 500 milioni di euro, un quinto di quanto spende la Germania, per collocare i giovani sul mercato del lavoro, quindi non sorprende che la disoccupazione giovanile tedesca sia pari al 7,3 per cento mentre da noi è al 42 per cento.
Secondo problema, anche se Renzi ipoteticamente ottenesse questo risparmio, i 34 miliardi, il costo di gestione della cosa pubblica sarà ancora troppo alto per far scendere il debito.
Passiamo alla corruzione: siamo al 65 esimo posto della classifica della Banca Mondiale per la facilità di fare affari, sotto la Bielorussia ed il Botswana. Renzi vuole portarci al 15 esimo posto, insieme ai colleghi di Eurolandia, se è vero allora dovrebbe iniziare il processo di pulizia dal suo partito e chissà se alla fine ci rimarrà qualcuno.
Veniamo alla moneta comune: dal suo avvento la crescita economica italiana è stata la peggiore in Europa e dal 2008 l’economia si è contratta del 9 per cento. Facciamo un confronto con il passato prossimo: secondo il Fondo Monetario dal 1981 al 1990 l’economia è cresciuta ad una media annuale del 2,4 per cento, allo stesso ritmo del resto dell’Europa. Dal 2001 al 2010 invece l’economia cresceva dello 0,4 per cento contro 1,1 della media europea.
Per ora suggerisco a Roubini di studiarsi questi numeri prima di dichiarare che Renzi salverà il paese con le solite promesse di riforme, poi se casomai non gli bastassero ce ne sono ancora molti altri.