Domandatevi quante volte i lavoratori che guadagnano meno di 25 mila euro all’anno hanno già ricevuto l’aumento di 80 euro al mese. Se tenete i televisori accesi, se esplorate la rete, se sfogliate i giornali, il provvidenziale pagamento è già avvenuto, sta avvenendo mentre parliamo o scriviamo, sta per avvenire e continuerà a ripetersi.
Non potete né ignorarlo né dimenticarlo perché l’annuncio del fatto, non ancora avvenuto, è ripetuto senza sosta come se fosse il primo balzo del Pil e non l’ultima e arrischiata soluzione di soccorso e conforto (e di ancora incerta copertura). Ma l’uomo corre e dobbiamo tentare di inseguirlo. Ci aiuta esaminarne il metodo. Due i fondamenti delle riforme immediate, secondo Matteo Renzi: l’improvvisazione e la determinazione. La seconda parola fa luce sulla prima: si deve fare, si fa e basta. E non ditemi se la riforma è bella o brutta, migliore o peggiore, utile o inutile. L’importante è che si fa e si spunta dalla lista.
La prima grande prova è stata la nuova legge elettorale. Non è venuta bene perché si adatta a una sola Camera (Deputati). Bene. E allora aboliamo l’altra Camera (il Senato). Interessanti le ragioni: risparmieremo gli stipendi. E faremo più in fretta.
Intanto a Palazzo Madama svuotato arriveranno in autobus i senatori non eletti e non pagati, perché sono eletti e pagati altrove, più una ventina di rappresentanti della “società civile” molto onorati ma senza stipendio (il che fa pensare che saranno senatori nel tempo libero e presumibilmente nelle ore serali). Come ci dice e ripete, con un bel sorriso, il due volte ministro Maria Elena Boschi, (rapporti con il Parlamento e Riforme) “le riforme non possono aspettare“. Ora questa del Senato è come la legge elettorale: è venuta male, ma è fatta. Fai una crocetta sul taccuino e “next”, via la prossima, dirà Renzi-Blair contando all’americana, e facendo sapere che lui va avanti “come un rullo compressore”.
Ma vogliamo perdere un minuto (tranquilli, faremo in fretta) per vedere perché la riforma del Senato (che, come tutti vedono, è una rude abolizione) è venuta male. Il risparmio è nullo. Bastava tagliare, anche di due terzi, i seggi, ridisegnare costi, spese e pagamenti (debitamente ridotti), per avere un risultato economico molto più grande, ed evitare lo smantellamento di un pezzo della Costituzione. Non è né vero né falso che una Camera sola lavora più in fretta. Dipende dai regolamenti, delle singole Camere (al momento totalmente sottoposte alla egemonia dei partiti) regolamenti che non sono stati toccati neppure in un punto. Dipende dalla organizzazione del lavoro che, attualmente, farebbe fallire qualunque impresa, perché ogni ora e ogni minuto di attività alle Camere (adesso si dovrà dire: alla Camera) non dipende dal presidente o dalla presidente del momento. Dipende dalla decisione della “Conferenza dei capigruppo”. Che vuol dire la volontà e l’umore dei partiti in ogni dato momento.
Ma nulla di tutto ciò ha attratto l’attenzione dei colleghi commentatori e dei lanciatori di telegiornali. Per esempio Enrico Mentana (La 7) ha celebrato la morte del Senato ricordano i frequenti episodi di comportamento indegno di quella Camera. Ma mentre lui, Mentana, e molti altri colleghi dello straordinario mondo della informazione, ricordavano, post mortem, le colpe del Senato, alla Camera dei Deputati l’onorevole Bonanno, Lega Nord, già noto per altri delicati interventi, stava sventolando una spigola in aula, invano richiamato dal vicepresidente di turno. E qui si intravede una buona ragione che, all’improvviso, potrebbe spingere il corridore di fondo Matteo Renzi verso un’altra urgente riforma. Potrebbe andare dritto a colpire la Camera. Cosa ne dite di una riforma della Camera, allo scopo di sottometterla una volta che il governo, dopo tante implorazioni di Berlusconi, sarà stato finalmente rafforzato (nel senso di più potere e meno controllo)?
Eppure ciò che colpisce di più, nel favoloso mondo di Matteo Renzi è la modestia dell’orizzonte. Si vede un mondo molto piccolo, con protagonisti molto piccoli (a cominciare dai suoi ministri) che producono conseguenze economiche molto modeste senza badare a quanto possano essere gravi, invece, le conseguenze nella percezione dei cittadini. Per poter mantenere il ritmo della corsa occorre dare l’impressione di produrre in fretta e moltissimo. Comincia la frenetica strategia del prendere in basso per dare in basso, prendere ai poveri per dare ai poveri, prendere ai pensionati per dare ai pensionati, spingere fuori e pre-anziani per fare largo ai post-giovani. Ecco, diventa chiaro il perché della corsa di Matteo Renzi. È come quella dei bersaglieri. Non serve, perché non si combatte correndo. Ma, nelle sfilate, specialmente se le fai molte volte di seguito dando l’impressione di una grande armata, fai spettacolo e la gente, per forza, batte le mani.
Dal Fatto Quotidiano del 6 aprile 2014