Tornare alla lira o no? Beatificare la svalutazione o sottomettersi allo spread? La moneta unica è senza dubbio un vantaggio per i paesi europei più forti, e porta invece malumori nostalgici di ritorno alla sovranità per tutti gli altri. Tuttavia, se l’euro non risponde ai bisogni dei consumatori, le iniziative locali per aggirare l’austerità non mancano e sono anzi in continua crescita. Molte di loro dipendono dalle scelte dei comuni e degli enti regionali, come dimostrato dall’ascesa delle monete complementari, strumenti fondati su di un rilancio democratico e trasparente delle comunità e dell’economia reale.
Oggi nel mondo esistono più di 5mila valute complementari e molte di loro hanno raggiunto grandi risultati, basti pensare al Wir che, attivo da 60 anni, ora copre un sesto delle transizioni svizzere: 1,1 mrd di euro nell’ultimo anno. La complementarietà non è tuttavia un invenzione poi così moderna. Tra il XII e il XVIII sec. in Francia vi erano i Méreaux, degli oggetti monetiformi realizzati con materiali poveri, emessi da soggetti o comunità senza diritto di battere moneta e validi in determinati acquisti o territori. Persino i gettoni di frequenza distribuiti nelle chiese potevano essere sfruttati per acquistare abiti, cibo o servizi. Nello stesso periodo il Doge di Venezia creò il Ducato immaginario per sopperire alla carenza di oro. Diede vita ad una “banca di trasferimenti” che registrava le transazioni locali. Essa contribuì a generare la ricchezza rinascimentale e sarebbe attiva tuttora, se gli svizzeri non ne avessero bruciato gli archivi dopo 500 anni di attività.
Pensandoci bene, siamo limitati alla moneta unica solo per quanto riguarda la parte relativa alla fiscalità, mentre a livello pratico abbiamo più libertà di quanto pensiamo. E’ infatti possibile proporre un sistema monetario su base volontaria a più livelli che non si prefigga di sostituire la moneta ufficiale, ma che sia volto a soddisfare le esigenze dei singoli e delle comunità. La complementarietà assume diversi significati, vi sono valute locali, sociali, virtuali e molte altre. Ognuna ha diversi scopi, dal marketing al welfare, dallo sviluppo locale e la tutela dell’ambiente al semplice scambio di competenze (v. Banche del Tempo).
Il Toreke per esempio, è la moneta istituita e finanziata dalla città belga di Gand. Il progetto del Toreke è volto al conseguimento di opere sociali e ambientali, tramite la riqualificazione degli spazi urbani e la creazione di un grande giardino comunitario. L’affitto annuale di un appezzamento pubblico è di 150 Torekes (15euro) che possono essere guadagnati attraverso varie iniziative, come la attività socialmente utili o le giornate di lavoro collettivo, per poi essere spesi nel giardino comune, per i trasporti pubblici, o nei negozi partner. Sempre in Belgio l’Epi si concentra invece sul sostegno all’agricoltura, l’economia locale e il commercio etico.
In tutta Italia è oggi in rapida diffusione l’Arcipelago Scec che, proprio come il Toreke e l’Epi, non punta solo a contribuire all’economia locale, ma a responsabilizzare l’individuo e rafforzare il senso di comunità. La cooperazione e l’indipendenza dal potere d’acquisto ripartito in euro, lo rendono accessibile alle fasce più svantaggiate della popolazione, contribuendo alla riduzione della povertà e dell’emarginazione sociale.
A Milano promuovono il Lombard, in Sicilia il Turi, a Napoli il Napo. A Brescia dal 2001 è invece attivo il BexB, un progetto che oggi accomuna 2.700 imprese italiane su 160 diversi settori. Uno strumento che consente di acquistare beni e servizi pagandoli con il proprio prodotto o servizio, senza utilizzare denaro. Sullo stesso principio, in Sardegna, il Sardex vanta una rete di 1500 imprese e 15mln di euro di scambi nel 2013. Entrambi si differenziano dallo Scec, utilizzano infatti un sistema di credito commerciale volto al sostenimento delle PMI. Una moneta senza contanti che non frutta interessi.
Certo è necessaria una regolamentazione, soprattutto dopo le vicende del Bitcoin. Ciò non toglie però che le comunità locali abbiano per le mani un’opportunità da non lasciarsi scappare. La moneta complementare costa meno, è anticiclica, e non è sottoposta agli interessi. E’ in grado di rinnovare il senso di comunità, favorire l’inclusione sociale, promuovere iniziative volte al recupero della resilienza socio-culturale ed economica. La complementarità si rivela essere un’alternativa locale alla crisi globale.
di Gian Luca Atzori