Un regolamento del 2010 firmato dall'allora commissario straordinario dell'istituto - poi confluito nell'Inps - prevedeva che ai dipendenti che facevano le perizie per la concessione di mutui fossero versati compensi extra "mascherati" da risarcimenti
Nuove grane per l’Inpdap. L’ex cassa previdenziale dei dipendenti pubblici confluita nell’Inps portando con sé un buco multimilardario, evadeva imposte e contributi. Proprio così: geometri, ingegneri e architetti che svolgevano le perizie tecniche per la concessione di mutui agli iscritti ricevevano, per ogni pratica, un compenso extra (300 euro) che figurava però come un “risarcimento“. Una formuletta che lo rendeva esente da tasse e accantonamenti. Il paradosso è che il meccanismo non avveniva ai danni e all’insaputa dell’istituto: anzi, era previsto nel regolamento approvato nel 2010 dall’allora commissario straordinario dell’ente, Paolo Crescimbeni. I vertici, dunque, erano a conoscenza di tutto. Idem il collegio sindacale, che non ha trovato nulla da obiettare.
La vicenda di cui ha dato notizia l’AdnKronos e sulla quale ora indaga la procura laziale della Corte dei Conti, è emersa in seguito a una ricognizione interna condotta dall’Inps, che ha incorporato l’Inpdap nel corso del 2012 accollandosi il suo rosso da circa 10 miliardi di euro. Perdita che ha pesato non poco sui conti 2013 dell’ente nazionale di previdenza, peraltro commissariato dopo le dimissioni di Antonio Mastrapasqua: l’anno si è chiuso con un buco di 14,4 miliardi e altri 12 miliardi di perdite sono attesi per il 2014. Trovata la sorpresa, l’Inps ha inviato una relazione ai magistrati contabili, sottolineando che l’erogazione di quelle somme come risarcimento “appare non conforme alla normativa vigente sia sotto il profilo di legittimità che sotto il profilo fiscale” nel punto in cui “prevede la corresponsione di un onorario professionale ai tecnici dell’istituto incaricati della perizia”. Innanzitutto perché si tratta di un’attività che va “ricondotta nell’alveo del rapporto di lavoro“: il contratto e la legge stabiliscono che “tutti i trattamenti economici del personale devono essere sostenuti a carico del fondo trattamenti accessori e non possono, pertanto, sussistere erogazioni fuori fondo”. Non è consentito, quindi, riconoscere retribuzioni aggiuntive per prestazioni che “rientrano nelle competenze dell’ufficio ricoperto”. Ma l’aspetto più paradossale riguarda fisco e contributi: la corresponsione dei 300 euro per perizia non è affatto un risarcimento ma “va qualificata come un compenso corrisposto al dipendente”, sottolinea la relazione. Perciò cui è soggetta “all’ordinaria contribuzione previdenziale“. Il documento, poi, chiama in causa anche collegio dei sindaci dell’Inpdap che “né in sede di approvazione delle delibere né in sede di attuazione delle medesime”, ha mosso dei rilievi. Qualcuno che ha manifestato perplessità, a dire il vero, c’è stato: la direzione risorse umane dell’istituto. Ma a quei dubbi non è mai stato dato peso. Nella prima delibera, datata marzo 2010, era previsto addirittura che i 300 euro passassero direttamente dall’iscritto che chiedeva il mutuo al tecnico Inpdap che effettuava la perizia. Poi, a settembre 2011, è stato istituito presso l’Inpdap un conto ad hoc in cui affluivano i compensi, che venivano poi girati in busta paga come somma risarcitoria.
Da quando la vicenda è emersa il commissario dell’Inps, Vittorio Conti, ha stabilito che, in attesa di fare chiarezza, le somme siano sottoposte alle trattenute fiscali e contributive. Intanto i tecnici fanno sapere che le perizie venivano effettuate “al di fuori dell’orario di lavoro” e con mezzi e spese a carico dei tecnici”. In particolare i professionisti scrivono che “preme chiarire che gli incarichi di perizia affidati ai tecnici ex Inpdap compatibili con ruolo professionale non rientravano fra le attività d’ufficio e quindi non potevano intendersi compresi nello stipendio. Ogni perizia veniva espletata su apposito incarico dell’amministrazione su manifestazione specifica di disponibilità esclusivamente al di fuori dell’orario di lavoro e in ferie o in giorni festivi o comunque non lavorativi con mezzi e spese totalmente a carico del tecnico in tutto il territorio nazionale”. E, ancora, “non si è mai verificata la circostanza di un pagamento in nero cosi come menzionato nell’articolo. La somma di 300 euro a totale carico del richiedente il mutuo e non dell’istituto veniva erogata in busta paga, quale rimborso non avente carattere retributivo ma a titolo risarcitorio”.
“La vicenda non mi sorprende”, è il commento di Elio Lannutti, presidente dell’Adusbef (associazione per la difesa gli utenti dei servizi bancari e finanziari) ed ex senatore Idv, che al buco della cassa dei dipendenti pubblici ha dedicato più di un’interrogazione parlamentare. “Nella commissione bicamerale di controllo sugli Enti previdenziali tutti chiudevano gli occhi su quel che accadeva nell’Inpdap. Tutti ci hanno mangiato”.