Il potere d’acquisto delle famiglie, cioè la quantità di beni che riescono a comprare con i soldi che entrano ogni mese, continua a diminuire. L’anno scorso, tenendo conto dell’inflazione, è calato dell’1,1%. E questo nonostante il reddito disponibile sia salito, in valori correnti, dello 0,3%. Insomma: anche se il livello dei prezzi è aumentato pochissimo (il tasso di inflazione medio è stato dell’1,2%), è stato più che abbastanza per erodere quel poco di respiro che le buste paga avevano conquistato. I dati arrivano dall’Istat, che registra anche un ulteriore discesa della spesa per consumi finali: -1,3% nel 2013. Gli italiani, quindi, continuano a stringere la cinghia e a fare le formiche, mettendo da parte il più possibile. Ipotesi confermata dalla propensione al risparmio, che risulta in salita al 9,8%, +1,4 punti percentuali rispetto all’anno precedente.
A parziale consolazione, va detto che le tasse hanno svuotato un po’ di meno le tasche degli italiani: l’istituto di statistica, infatti, ha calcolato che la pressione fiscale media si è fermata al 43,8%, 0,2 punti percentuali in meno rispetto al 2012. Ma Sempre dall’istituto di statistica arriva poi un dato molto importante per il premier Matteo Renzi, che domani presenterà il Documento di economia e finanza: è quello sul rapporto deficit/pil. Che, nel 2013, è stato pari al 2,8%, in calo di 0,1 punti. A quella percentuale, però va sommato l’impatto dei derivati (operazioni di swap), che è stato di 0,2 punti. Corrispondenti a 3,2 miliardi di euro, in aumento a confronto con il 2012 di 1,3 miliardi (allora l’incidenza si era fermata a 1,9 miliardi). Includendo quelle operazioni si arriva al 3%, ed è questo il numero che fa fede ai fini dei parametri Ue per le procedure su deficit eccessivo. Sempre nel 2013 le uscite totali dello Stato sono diminuite dello 0,5% rispetto all’anno prima e il loro peso sul pil è rimasto invariato al 50,6%. Le entrate totali, però, sono calate anche loro, dello 0,3%, con un’incidenza sul pil del 47,7%.