E’ bravo, ma non solo questo. È anche bello, piace alle donne. E poi è estroso sul campo, dove non si limita mai al colpo banale in un’epoca di noiosi pallettari. E fuori dal campo: perché è uno che parla, trascina, non si nasconde. “Ci mette la faccia”, per citare le sue parole. Fabio Fognini è sempre stato uno spettacolo. Genio e sregolatezza, si diceva qualche anno fa, quando alternava prodezze a prestazioni imbarazzanti. Adesso è diventato un campione. E quei pochi che ancora non se n’erano accorti dopo le vittorie del 2013 e di quest’inizio stagione, lo hanno scoperto domenica.
In Coppa Davis Fognini ha dominato Andy Murray. L’eroe di Scozia in grado di riportare la Gran Bretagna sul trono di Wimbledon 76 anni dopo Fred Perry. E che in Davis non perdeva dal 2005. Lo ha fatto con una partita perfetta, in cui ha dimostrato di essere superiore sul piano tecnico e tattico, fisico e mentale. Come fanno solo i grandi di questo sport.
L’Italia uno così lo aspettava dai tempi di Adriano Panatta. Perché al tennis azzurro negli ultimi decenni è mancato proprio l’uomo copertina. Di buoni tennisti ne abbiamo avuti. Non troppi, neanche pochissimi: Andrea Gaudenzi e Davide Sanguinetti a fine anni Novanta, a sprazzi Filippo Volandri, Potito Starace e lo stesso Andreas Seppi negli anni Duemila. Capaci di vincere tornei Atp, di fare qualche buon risultato negli Slam, di arrivare anche a ridosso dei migliori 20-30 del ranking.
Mai, però, in grado di fare il vero salto di qualità. Fabio Fognini sembrava essere l’ennesimo talento inespresso del nostro tennis. Braccio da fuoriclasse, come dimostrato dall’incredibile vittoria agli ottavi del Roland Garros del 2011 contro Montanes, infortunato e giocando da fermo. Ma anche testa da ribelle. A volte troppo: proteste fuori luogo con gli arbitri, partite buttate via in maniera sciagurata. E un atteggiamento svogliato e indisponente, che in passato gli ha attirato più d’una critica del pubblico.
Poi qualcosa è cambiato. Quella vittoria agli Open di Francia. L’incredibile striscia di due tornei vinti (Amburgo e Stoccarda) e uno perso in finale (Umago) nell’estate del 2013 gli hanno dato una diversa consapevolezza dei propri mezzi. Il talento è diventato campione. È salito fino al 13esimo posto del ranking Atp, può crescere ancora: i primi dieci non sono lontani.
Soprattutto, Fognini è il top player di cui l’Italia aveva bisogno. Il leader tecnico ed emotivo della nazionale, per cui dà sempre tutto. Il campione che i ragazzini vogliono imitare, e che può dare nuovo impulso a tutto il movimento: l’altro ieri a bordo campo c’erano anche Matteo Donati e Gianluigi Quinzi, le stelline del domani. Se l’Italia è tornata fra le prime quattro del mondo, come spiegano le vittorie contro Argentina e Gran Bretagna, è soprattutto merito suo. Nello sport è vietato lasciarsi andare a trionfalismi: ci sono risultati da confermare, e altri traguardi più importanti da conquistare. Ma oggi il tennis italiano è rinato. E per questo ringrazia Fognini.