La controproposta di Chiti piace a Santangelo. Mineo: "Proviamo a votare con loro". Marcucci e Latorre, vicini al premier: "Via quel ddl". Romani (Fi): "Renzi rispetti i patti o votiamo con i 5 Stelle"
Il ddl Chiti rischia di diventare un virus che si diffonde e che può far deragliare il treno delle riforme istituzionali. Si tratta del testo che 22 senatori della sinistra Pd ha presentato come proposta alternativa al disegno di legge approvato dal governo in consiglio dei ministri. Ma se negli ultimi giorni il presidente del Consiglio Matteo Renzi – in sintonia con il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi – aveva parlato di autosufficienza” in caso di rottura del patto con Forza Italia ora quello scenario sembra meno certo. Primo: il Movimento Cinque Stelle ha detto che è pronto a sostenere il testo di Vannino Chiti (ex ministro delle Riforme e ex vicepresidente del Senato) salvo poi fare una mini-retromarcia con la solita storia del “sentiamo la Rete”. Secondo: i 22 senatori, invitati con energia dai renzianissimi (Andrea Marcucci) e da quelli dell’ultima ora (Nicola Latorre) a ritirare la proposta, hanno risposto picche, confermando che la loro proposta resisterà. Terzo: al trenino si aggiunge perfino Forza Italia visto che il capogruppo al Senato Paolo Romani manda questo messaggio al capo del governo: “Rispetti i patti o molti di noi voteranno con Chiti e i Cinque Stelle”. Insomma a far rallentare l’iter delle riforme (Senato e Titolo V in testa) potrebbe essere l’inedita maggioranza che dai civatiani arriva a Renato Brunetta passando per Paola Taverna o Vito Crimi. Ma la Boschi non alza il piede dall’acceleratore: il ddl di riforma del Senato dovrebbe arrivare a Palazzo Madama “fra oggi e domani”, dice.
Il Pd si divide e non è una notizia. E l’endorsement – pur con distinguo – dei Cinque Stelle è una mossa politica per aggravare le divisioni interne al Partito democratico e per indebolire Renzi. Il tema diventa tutt’altro che secondario, quindi, anche per il governo come confermano le parole del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che alla Cnn sottolinea come la riforma del Senato e le altre sulle Province “vedono molti interessi politici in ballo, ma sono anche viste come una svolta decisiva. Se non passano sarebbe molto, molto grave per il Paese”. “Certamente l’opposizione alla spinta riformatrice è il segnale che si va nella giusta direzione. La sopravvivenza (del governo, ndr) dipende dall’intensità della spinta” a fare le riforme. Così ora i senatori chiedono ai colleghi della minoranza di ritirare il proprio disegno di legge costituzionale.
Si tratta di un testo firmato dall’ex ministro per le Riforme Vannino Chiti e sostenuto – tra gli altri – dai cosiddetti “civatiani“, da Corradino Mineo, da Massimo Mucchetti. In tutto una ventina di parlamentari. Prevede, tra l’altro, un’elezione diretta, su collegi regionali, dei futuri 106 senatori oltre che un taglio consistente ai seggi della Camera (che invece resterebbero intatti nella proposta di Renzi). “Faremo un’altra assemblea” annuncia il capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda, a confermare che la situazione è tutt’altro che superata (quella di oggi era la quarta riunione sul tema). Mineo si spinge oltre e su twitter immagina una votazione congiunta M5S e Pd.
Abbiamo votato con #M5S la decadenza di #Berlusconi, perché non dovremmo provare a votare insieme le riforme istituzionali? @pdnetwork
— Corradino Mineo (@CorradinoMineo) 8 Aprile 2014
“Quello presentato da Chiti al Senato è di fatto il nostro testo, ad eccezione di una questione che riguarda il taglio delle indennità. Ma su tutto il resto non possiamo non essere d’accordo visto che ricalca la nostra proposta” dichiara il capogruppo dei Cinque Stelle a Palazzo Madama Maurizio Santangelo. “Ci stiamo ragionando – aggiunge -, ma sì, credo proprio di sì”. La conferma arriva anche da un ex capogruppo dei grillini a Palazzo Madama, Nicola Morra. Il primo dato è che questa mossa potrebbe mettere in difficoltà Renzi, alle prese con i numeri ballerini del Senato. La spina nel fianco della minoranza del Pd non è l’unico ostacolo al percorso del disegno di legge approvato in consiglio dei ministri. Ci sono le tentazioni di far saltare il tavolo da parte di Forza Italia. C’è la difficoltà di tenere insieme la maggioranza di partitini che sostengono il governo. La situazione è delicata nell’Aula di Palazzo Madama e il via libera del M5s alla proposta di Chiti potrebbe essere un colpo strategico che può mettere in difficoltà il presidente del Consiglio e i suoi progetti. E infatti lo scontro dentro al Pd non tarda ad arrivare. I renziani partono all’attacco: “Condivido totalmente l’appello lanciato in assemblea dal senatore del Pd Nicola Latorre di invitare Chiti e gli altri firmatari a ritirare la loro proposta di riforma costituzionale – afferma Andrea Marcucci – Li invitiamo ufficialmente a fare emendamenti al testo del governo”. Ma Corradino Mineo ci crede: “Abbiamo votato con M5S la decadenza di Berlusconi, perché non dovremmo provare a votare insieme le riforme istituzionali?”. E rilancia: “Noi il nostro ddl costituzionale non lo ritiriamo. Resta lì sul tavolo. Ma non vogliamo spaccare il partito. Stiamo solo cercando di dare il nostro contributo”. In una breve nota Chiti conferma: “Siamo convinti che un ruolo di garanzia e rappresentanza anche dei territori del nuovo Senato sia meglio realizzabile con l’elezione diretta da parte dei cittadini, in concomitanza con le elezioni regionali”.
Dunque non è solo un problema di civatiani, per farla facile. All’assemblea Pd Chiti è assente, alle prese con il Consiglio europeo. E al suo posto rispondono Mineo e Felice Casson. “Il nostro testo resta sul tavolo e non si tocca”, risponde Mineo ai cronisti che lo incalzano. “Non vogliamo spaccare il partito – aggiunge – ma dare il nostro contributo”. E se l’adesione del M5s “che comunque dovrà essere confermata dalla Rete, arrivasse sul serio i numeri comincerebbero a diventare “significativi”: “Quelli del M5s sono 40 – spiega uno dei 22 democratici parlando con l’Ansa – e se i loro voti si sommassero ai nostri si arriverebbe a 62, senza contare i dissidenti grillini che sarebbero circa una decina. Se poi anche Fi dovesse dire ‘no’ al testo del governo non saprei mica come si potrebbero mettere le cose…”. “Il problema – interviene Doris Lo Moro – è che sui tempi non dipende tutto solo da noi visto che il governo ha già bruciato di fatto due settimane presentando solo ieri sera la relazione tecnica al Quirinale”. “Invece che puntare tutto sulla composizione del Senato – incalza il presidente della commissione Affari Costituzionali Anna Finocchiaro – sarebbe bene che ci si occupasse della competenza e delle funzioni della Camera Alta, perché un’ipotesi è quella di fare un Senato alla francese che sia cioè una Camera di garanzia, che si occupi di controllare ad esempio l’applicazione delle leggi, o il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini. E’ un errore focalizzarsi solo sulla sua composizione”. Ma anche su questo sarà necessario raggiungere un accordo, si commenta nel Pd, perché “sarà davvero difficile proporre un Senato di garanzia che non sia composto però da eletti…”.
Qui si inserisce l’indiscrezione di un incontro tra Renzi e Silvio Berlusconi, il cui bacino di voti sarebbe una garanzia per il presidente del Consiglio. Ma anche il “gioco” di Forza Italia. “Il ‘castello’ sul quale abbiamo lavorato non prevede al momento la scelta fra elezione diretta e non elezione diretta – dice il capogruppo Paolo Romani – La proposta Chiti prevede l’elezione diretta. E se il M5s va su quella proposta molti dei nostri senatori, me compreso, siamo convinti che una elezione diretta sarebbe assolutamente meglio anche nell’ottica di un sistema monocamerale”. Quindi, aggiunge, “su questo la maggioranza del Senato sarà difficile da immaginare”. Romani spiega che “se si fanno dei patti e degli accordi, quei patti vanno rispettati, sia nei contenuti che nei tempi”, dice il capogruppo azzurro che osserva come sulla legge elettorale l’impegno fosse “di approvarla alla camera velocemente e che immediatamente dopo la si approvasse al Senato”. Quanto alle richieste di Forza Italia sulla riforma del Senato, Romani premette che “l’argomento non fu particolarmente approfondito” nel patto del Nazareno. Ma Forza Italia è “assolutamente contraria” alla proposta fatta dal governo “per come è stata formulata. Non tanto per il fatto che vengano o meno eletti i senatori quanto per il fatto che noi non accettiamo che ci sia un’assemblea di sindaci che insieme alla Camera decidano la presidenza della Repubblica, i membri del Csm, i membri della Corte Costituzionale”. La proposta di Forza Italia è quindi quella di un Senato elettivo: “La proposta di Chiti corrisponde in parte alla nostra”. Il timbro arriva dall’alto: “Noi siamo per le riforme – dice Giovanni Toti – Francamente quella del Senato ci sembra poco e male, sediamoci a un tavolo e ne discutiamo”.