Alla fine arriva sempre lui, Josè Mourinho. Il trionfo del tecnico portoghese è totale: vince in campo dove il suo Chelsea completa la remuntada ai danni del Paris Saint Germain e lontano dall’erba di Stamford Bridge, prendendosi la scena in tv e su Twitter, dove per ore è stato stabilmente tra i trends topics dopo il triplice fischio che ha spedito i Blues in semifinale di Champions League. Lo Special One conquista così l’ottava qualificazione alle semifinali in undici anni. Non era mai successo a nessun allenatore. Per Mourinho è un titolo di cartone, quello che ha veramente in testa è un altro: vincere la terza Coppa Campioni con il Chelsea vorrebbe dire entrare nella storia del calcio come il primo allenatore capace d’alzare il trofeo con tre squadre diverse.
Eppure già nel 2-0 al Psg di Laurent Blanc, uscito tatticamente distrutto dal doppio confronto con gli inglesi, c’è tutto il meglio dell’ex tecnico dell’Inter. La carica ai suoi dopo il 3-1 dell’andata (“Siamo a solo a metà strada, possiamo farcela”), la parte tecnica (nel finale ha schierato quattro punte e i gol qualificazione portano la firma di Schürrle e Demba Ba, entrambi buttati nella mischia a partita in corso), la stilettata all’eterno rivale Benitez (“Con questo gruppo lo scorso anno era in Europa League e a 20 punti dal primo posto in Premier”) e dopo il trionfo le battute furbe in perfetto italiano per far rimbombare l’eco dell’impresa (“I cambi? Ho avuto culo”). E infatti Mourinho rimbalza ovunque.
Su Twitter, soprattutto, dove da ieri sera non si arresta l’onda celebrativa in versione 140 caratteri. Fan dell’Inter che si chiedono se il loro cuore batta per i nerazzurri o per il portoghese, l’ex Materazzi che lo definisce “Simply the best”, utenti che sottolineano come la partita abbia dimostrato che tra “Mourinho e Blanc c’è ancora una categoria di differenza che gli assegni degli sceicchi non coprono”: sul popolare social network è scoppiata la Special One mania. Così la rimonta riuscita a Mourinho oscura e inghiotte la quasi-rimonta del Borussia Dortmund ai danni del Real Madrid. I tedeschi sono arrivati a un soffio da una vittoria che, calcisticamente parlando, sarebbe stata ancor più clamorosa del ribaltone del Chelsea. Dopo il 3-0 subito al Santiago Bernabeu, il Borussia ha fatto tremare i Blancos di Carlo Ancelotti fino al 90esimo.
La squadra spagnola, affondata due volte da Mario Reus nella prima mezz’ora di gioco, è stata salvata dalle parate di Casillas e dal palo che ha detto no all’affondo di Mkhitaryan. Per il Real si tratta della quarta semifinale consecutiva, una continuità tutt’altro che scontata nella massima competizione europea. Sarebbe il risultato del giorno, da celebrare in prima pagina, se a Londra non ci fosse stato un portoghese eternamente diviso tra genio e fortuna a cancellare il tutto. Stasera si completa il quadro con Bayern Monaco-Manchester United e il derby spagnolo Atletico-Madrid Barcellona. Ma a me di clamorose prestazioni c’è una squadra che emotivamente arriva in semifinale con un passo in più, racchiuso nella corsa del suo allenatore verso il mucchio di giocatori che esultavano dopo il gol-qualificazione arrivato all’86esimo. E Mourinho, che non ha mai fatto mistero di quanto conti la fortuna per vincere la Champions, avrà anche buttato un occhio a una tradizione degli ultimi anni che lega la vincente del trofeo alla nazione che ha ospitato la finale precedente. Nel 2009 si giocò a Roma e l’Inter vinse nel 2010. Il trionfo nerazzurro si celebrò in Spagna e nel 2011 ha vinto il Barcellona. Ancora: nel 2011 si giocò a Wembley e la stagione seguente toccò al Chelsea alzare la coppa dalle grandi orecchie. I Blues allora guidati da Di Matteo esultarono in Germania e lo scorso anno ha vinto il Bayern Monaco. Dove? In Inghilterra. Se stasera il Manchester United non compie l’impresa contro i campioni in carica, il Chelsea sarà l’indiziato numero uno. Per la cabala, certo. Ma anche per quell’uomo “special” che lo guida dalla panchina e vuole scrivere il suo nome nella storia del calcio mondiale. “Appena un gradino sotto Dio”, direbbe lui.