Se n’è andato in silenzio, un po’ come nei suoi ultimi quarant’anni di vita, dopo che sul suo nome e sul suo caso giudiziario attorno al 1968 si era discusso per anni sui giornali di mezzo mondo. Aldo Braibanti, intellettuale, poeta, scrittore, nato a Fiorenzuola d’Arda (Pc) nel 1922, è morto a 91 anni per arresto cardiaco a Castell’Arquato, paese in cui nel 1947 aveva fondato un laboratorio artistico ‘comunitario’ nel torrione Farnese. Ma più che per la sua originale produzione letteraria e teatrale, il nome di Braibanti divenne celebre per essere stato imputato di ‘plagio’ in uno dei processi più seguiti e dibattuti nell’Italia di fine anni sessanta, finito con una condanna di nove anni di reclusione basata su un’improbabile imposizione delle proprie idee e personalità su un giovane amico.
L’ex funzionario del Pci, partigiano più volte arrestato e torturato dagli aguzzini repubblichini nel 1944, finì improvvisamente sul banco dell’accusa del Tribunale di Roma nel 1964 per aver plagiato la personalità del 23 enne Giovanni Sanfratello, portato con sé nel trasferimento dall’Emilia alla capitale. Reato desueto risalente al codice Rocco, concettualmente poco chiaro, non presente nei codici legislativi di altri paesi, e concretamente mai diventato effettivo capo d’accusa nella storia giurisprudenziale italiana, il plagio per Braibanti divenne anche pretesto per inserire forzatamente tra gli elementi di condanna, morali e non di certo giudiziari, l’omosessualità: anche se l’uomo non si era mai dichiarato tale. La denuncia la depositò alla Procura di Roma il padre del ragazzo e subito il pm Loiacono prese una posizione precisa per imbastire un’istruttoria che sapeva di ‘caccia alle streghe’, con tanto di isolamento di Sanfratello, il giovane ‘plagiato’ rinchiuso in manicomio e impossibile da raggiungere per testimoniare: “Il Braibanti secondo le accuse e i primi elementi di prova acquisiti, avrebbe raggiunto i suoi scopi aizzando i giovani contro le proprie famiglie, distruggendo i principi morali e gli affetti originari, imbevendoli di idee materialistiche mascherate da anticonformismo e ricerca della libertà e della perfezione assoluta”.
In realtà, ha spiegato Gabriele Ferluga nell’eccellente volume Il Processo Braibanti in cui viene ricostruita l’intera vicenda, “il caso Braibanti fu uno dei terreni di scontro fra le forze allora in campo, la contestazione ai valori dominanti e la reazione a chi allora si sentì messo in discussione. Era la reazione istintiva e violenta di un’Italia benpensante contro ogni anticonformismo e in particolare contro il fantasma dell’omosessualità”. Il processo si concluse 4 anni dopo e il ‘professore’ fu condannato a 9 anni di reclusione, ridotti a 6 in appello. Altri due anni gli vennero condonati perché partigiano della resistenza e finì per scontarne due. Numerosi gli appelli di intellettuali italiani come Alberto Moravia, Carmelo Bene, Pasolini, Umberto Eco, per ragionare oggettivamente su una forma di reato di difficile definizione scientifica, tra i dettami di una dottrina come la psicologia in quegli anni in via di continua trasformazione e un sistema di valori etici e morali che portò poi nel 1981 la cancellazione del reato di plagio dal codice penale. Terreno culturale di confronto e discussione minato, proprio mentre stava per scoppiare la contestazione giovanile del ’68, il caso Braibanti fu commentato da una posizione estremista di condanna di un quotidiano di estrema destra come “Il Tempo”, ma anche da un’ambigua moderazione di testate come “Corriere della sera”, “Messaggero”, “Stampa” e perfino “L’Unità: “Il partito comunista (da cui Brabanti si era comunque distaccato dopo i fatti d’Ungheria del ’56 ndr) si è mosso tardi e con lentezza: la sua netta presa di posizione ufficiale a mio favore è apparsa quando tutti i giochi erano già fatti”, dichiarò l’intellettuale piacentino nell’89 nel libro “Impresa dei prolegomeni acratici”.
Uscito di prigione, e calato l’oblio dell’opinione pubblica, Brabanti continuò a lavorare al progetto teatrale Virulentia, per certi versi innovatore del linguaggio in quell’ambito tanto quanto le arrembanti rappresentazioni del Living Theatre; scriverà la sceneggiatura del film Blu Cobalto che ricevette un premio al Festival di Venezia nel 1985 e quando la sua situazione economica negli anni novanta si fece critica fu costituito un “Comitato Pro Braibanti” per concedergli un vitalizio grazie alla legge Bacchelli sbloccata dal governo Prodi nel 2008. Nell’assurda vicenda Brabanti fu l’unico effettivo momento in cui la politica, eccetto la campagna di sensibilizzazione del Partito Radicale all’epoca della detenzione dell’intellettuale, ridonò all’uomo la sua dignità perduta.
Emilia Romagna
Aldo Braibanti, morto l’intellettuale condannato per aver “plagiato” due ragazzi
Partigiano ed ex funzionario Pci, finì improvvisamente sul banco dell'accusa del Tribunale di Roma nel 1964: tra gli elementi della condanna anche l'omosessualità, nonostante lui non si fosse mai dichiarato tale. Numerosi gli appelli in sua difesa degli intellettuali italiani come Moravia, Bene, Pasolini e Eco
Se n’è andato in silenzio, un po’ come nei suoi ultimi quarant’anni di vita, dopo che sul suo nome e sul suo caso giudiziario attorno al 1968 si era discusso per anni sui giornali di mezzo mondo. Aldo Braibanti, intellettuale, poeta, scrittore, nato a Fiorenzuola d’Arda (Pc) nel 1922, è morto a 91 anni per arresto cardiaco a Castell’Arquato, paese in cui nel 1947 aveva fondato un laboratorio artistico ‘comunitario’ nel torrione Farnese. Ma più che per la sua originale produzione letteraria e teatrale, il nome di Braibanti divenne celebre per essere stato imputato di ‘plagio’ in uno dei processi più seguiti e dibattuti nell’Italia di fine anni sessanta, finito con una condanna di nove anni di reclusione basata su un’improbabile imposizione delle proprie idee e personalità su un giovane amico.
L’ex funzionario del Pci, partigiano più volte arrestato e torturato dagli aguzzini repubblichini nel 1944, finì improvvisamente sul banco dell’accusa del Tribunale di Roma nel 1964 per aver plagiato la personalità del 23 enne Giovanni Sanfratello, portato con sé nel trasferimento dall’Emilia alla capitale. Reato desueto risalente al codice Rocco, concettualmente poco chiaro, non presente nei codici legislativi di altri paesi, e concretamente mai diventato effettivo capo d’accusa nella storia giurisprudenziale italiana, il plagio per Braibanti divenne anche pretesto per inserire forzatamente tra gli elementi di condanna, morali e non di certo giudiziari, l’omosessualità: anche se l’uomo non si era mai dichiarato tale. La denuncia la depositò alla Procura di Roma il padre del ragazzo e subito il pm Loiacono prese una posizione precisa per imbastire un’istruttoria che sapeva di ‘caccia alle streghe’, con tanto di isolamento di Sanfratello, il giovane ‘plagiato’ rinchiuso in manicomio e impossibile da raggiungere per testimoniare: “Il Braibanti secondo le accuse e i primi elementi di prova acquisiti, avrebbe raggiunto i suoi scopi aizzando i giovani contro le proprie famiglie, distruggendo i principi morali e gli affetti originari, imbevendoli di idee materialistiche mascherate da anticonformismo e ricerca della libertà e della perfezione assoluta”.
In realtà, ha spiegato Gabriele Ferluga nell’eccellente volume Il Processo Braibanti in cui viene ricostruita l’intera vicenda, “il caso Braibanti fu uno dei terreni di scontro fra le forze allora in campo, la contestazione ai valori dominanti e la reazione a chi allora si sentì messo in discussione. Era la reazione istintiva e violenta di un’Italia benpensante contro ogni anticonformismo e in particolare contro il fantasma dell’omosessualità”. Il processo si concluse 4 anni dopo e il ‘professore’ fu condannato a 9 anni di reclusione, ridotti a 6 in appello. Altri due anni gli vennero condonati perché partigiano della resistenza e finì per scontarne due. Numerosi gli appelli di intellettuali italiani come Alberto Moravia, Carmelo Bene, Pasolini, Umberto Eco, per ragionare oggettivamente su una forma di reato di difficile definizione scientifica, tra i dettami di una dottrina come la psicologia in quegli anni in via di continua trasformazione e un sistema di valori etici e morali che portò poi nel 1981 la cancellazione del reato di plagio dal codice penale. Terreno culturale di confronto e discussione minato, proprio mentre stava per scoppiare la contestazione giovanile del ’68, il caso Braibanti fu commentato da una posizione estremista di condanna di un quotidiano di estrema destra come “Il Tempo”, ma anche da un’ambigua moderazione di testate come “Corriere della sera”, “Messaggero”, “Stampa” e perfino “L’Unità: “Il partito comunista (da cui Brabanti si era comunque distaccato dopo i fatti d’Ungheria del ’56 ndr) si è mosso tardi e con lentezza: la sua netta presa di posizione ufficiale a mio favore è apparsa quando tutti i giochi erano già fatti”, dichiarò l’intellettuale piacentino nell’89 nel libro “Impresa dei prolegomeni acratici”.
Uscito di prigione, e calato l’oblio dell’opinione pubblica, Brabanti continuò a lavorare al progetto teatrale Virulentia, per certi versi innovatore del linguaggio in quell’ambito tanto quanto le arrembanti rappresentazioni del Living Theatre; scriverà la sceneggiatura del film Blu Cobalto che ricevette un premio al Festival di Venezia nel 1985 e quando la sua situazione economica negli anni novanta si fece critica fu costituito un “Comitato Pro Braibanti” per concedergli un vitalizio grazie alla legge Bacchelli sbloccata dal governo Prodi nel 2008. Nell’assurda vicenda Brabanti fu l’unico effettivo momento in cui la politica, eccetto la campagna di sensibilizzazione del Partito Radicale all’epoca della detenzione dell’intellettuale, ridonò all’uomo la sua dignità perduta.
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Milano, 6 feb. (Adnkronos) - Si fingevano il ministro Guido Crosetto, oppure un generale o un sedicente funzionario del ministero della Difesa e provavano a truffare ingenti somme a degli imprenditori, cinque quelli a conoscenza dello stesso esponente di Fratelli d'Italia che ha denunciato la truffa. Due le vittime accertate, almeno tre gli altri professionisti che stavano cadendo nella rete di truffatori su cui indaga la procura di Milano guidata da Marcello Viola.
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - "Ieri ancora una volta il governo è venuto in Parlamento e non ha detto la verità, non ha avuto il coraggio di assumersi le responsabilità delle sue scelte, si è contraddetto. Noi vogliamo sapere se per tutelare l’interesse nazionale il governo si affida anzi coopera o meglio è complice di una banda di tagliagole, di assassini, di stupratori. Io penso che questo non sia accettabile, che c’è un limite anche a quello che si definisce interesse nazionale. Mi pare del tutto normale che le opposizioni abbiano, in modo molto deciso, sottolineato le incongruenze e siano intenzionate a chiedere che ci siano risposte di verità". Lo afferma Nicola Fratoianni di Avs parlando con i cronisti davanti a Montecitorio.
"Perché è inaccettabile che alla fine - aggiunge il leader di SI - la politica si infili in una discussione surreale sui cavilli e di cui diventa vittima la realtà, e quei corpi violati da aguzzini senza scrupoli, come si può vedere anche oggi in un nuovo e terribile video diffuso da Repubblica con un uomo legato al parafango e trascinato da un mezzo di quella polizia giudiziaria libica di cui è a capo Almasri gentilmente rilasciato da Nordio e Piantedosi".
"Così come è inaccettabile l’attacco devastante del governo alla Corte Penale Internazionale: ma come si fa a non vedere che ci troviamo in un mondo in guerra nel quale senza questi organismi, anzi senza il loro rafforzamento, senza ricostruire attorno a quegli organi una sorta di sacralità, l’unico elemento che resta in campo è la legge del più forte, della violenza, della violazione sistematica dei diritti? Questo governo - conclude Fratoianni - sta creando un disastro colossale, i cui costi saranno pagati dal nostro Paese".
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - “Il Governo ha condotto l’Italia al centro di uno scandalo internazionale, impedendo che il criminale libico venisse assicurato alla giustizia. Nordio e Piantedosi ieri si sono smentiti, Meloni è sparita. Ma non può continuare a scappare. Al di là di ogni aspetto giudiziario, deve risponderne sul piano politico, davanti al Parlamento e al Paese”. Così il democratico, Peppe Provenzano.
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - “Sono passate 24 ore dal dibattito parlamentare sulla vicenda che riguarda il criminale AlMasri e che ha evidenziato le bugie dette da questo governo. Vicenda per la quale continuiamo e continueremo a chiedere che Giorgia Meloni venga in Parlamento a spiegare le motivazioni di una scelta, tutta politica, che ha gettato discredito sul nostro Paese, ancor di più dopo che le parole del ministro della Giustizia hanno di fatto aperto un conflitto senza precedenti con la Cpi. Nell’attesa di una risposta positiva ci chiediamo dove la Presidente del Consiglio, di solito loquace sui social e nelle dichiarazioni, sia oggi finita. E’ senza voce o si è nascosta?". Così il presidente di senatori del Pd Francesco Boccia.
Milano, 6 feb. (Adnkronos) - Sono due i professionisti milanesi rimasti impigliati nella truffa telefonica in cui l'interlocutore - usando un numero con il prefisso di Roma - spende il nome del ministro della Difesa Guido Crosetto riuscendo, puntando su messaggi plausibili ed efficaci, a farsi bonificare cifre da diverse decine di migliaia di euro.
Bonifici su cui ora, la procura di Milano, sta indagando cercando di bloccare i soldi elargiti dalle due vittime che hanno denunciato. Il fascicolo aperto per truffa, aggravata delle ingenti somme richieste, è affidato al pm Giovanni Tarzia. L'ipotesi è che siano molti di più i professionisti e gli imprenditori che potrebbero cadere nella rete.
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - “Le parole pronunciate ieri da Nordio hanno aperto uno scontro senza precedenti con la Cpi, frutto delle contraddizioni del Governo e della scelta che Meloni non ha avuto il coraggio di spiegare". Così la segretaria del Pd, Elly Schlein.
"La verità è sotto gli occhi di tutti: Giorgia Meloni ha impedito che un criminale internazionale venisse assicurato alla giustizia, riaccompagnandolo con tutti gli onori laddove può continuare a commettere i suoi crimini. Quello che vogliamo ribadire, ancora una volta -continua- è che l'informativa di ieri non ha chiarito nulla, semmai ha aumentato lo sconcerto: Nordio e Piantedosi si sono presentati con due linee diverse e confliggenti l'una con l'altra".
"Per questo ancora una volta ribadiamo che è Giorgia Meloni a dover rispondere politicamente della vicenda. Davanti al Parlamento e al Paese, basta nascondersi, non parla ormai da giorni, è ora che finalmente chiarisca questa vicenda”, conclude Schlein.
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - "Anche oggi il Pd è stato al fianco dei lavoratori della Dema. L’incertezza rispetto al futuro di questa realtà resta ancora troppo alta e per questo sosteniamo le richieste pervenute dai sindacati. Il piano industriale presentato non può essere accettabile, specie per quello che accadrebbe allo stabilimento e ai lavoratori di Somma Vesuviana. Rappresenterebbe inoltre l’ennesimo colpo al nostro territorio che già vive troppe crisi aziendali. Per questo continueremo a tenere alta l’attenzione in difesa del lavoro anche in vista dei prossimi tavoli del 13 e del 17 febbraio". Così i deputati democratici Marco Sarracino, membro della segreteria nazionale Pd, e Arturo Scotto, capogruppo in commissione Lavoro alla Camera.