Gli arrestati sono tutti ritenuti contigui alle cosche Arena e Nicoscia di Isola Capo Rizzuto ed accusati di avere, in concorso tra loro e nel contesto di un medesimo disegno criminoso, illecitamente e fittiziamente intestato a prestanome, società, beni mobili ed immobili, con il reinvestimento di capitali di illecita provenienza. Il procuratore Alfonso: "E' un risultato molto importante"
Tutto parte da un esposto presentato agli inquirenti dall’ex presidente della Camera di commercio, Enrico Bini, che per anni è stato in prima linea nel denunciare il tentativo di conquista da parte delle ‘ndrine dell’economia della sua città. Reggio Emilia e la sua provincia, ma anche Modena e Bologna, si rivelano ancora terra di conquista per la criminalità organizzata. I carabinieri dei tre capoluoghi emiliani e i loro colleghi di Crotone hanno infatti eseguito nella mattinata di mercoledì, su ordine del giudice per le indagini preliminari di Bologna, Letizio Magliaro, 13 ordinanze di custodia cautelare e sequestri preventivi per un valore pari a 13 milioni di euro. Sette tra gli indagati sono finiti in carcere, mentre per sei sono stati disposti gli arresti domiciliari. Le accuse sono, a vario titolo, quelle di intestazione fittizia di beni e utilizzo di beni di provenienza illecita. L’indagine è stata condotta dal pm della Direzione distrettuale antimafia di Bologna, Marco Mescolini. “È solo l’ultimo segnale della penetrazione mafiosa nel nostro territorio”, ha spiegato il Procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso.
Al centro dell’indagine dei magistrati bolognesi c’è Michele Pugliese, detto “la Papera”, personaggio ritenuto di assoluto spessore criminale a isola Capo Rizzuto, la cittadina in provincia di Crotone dove tra faide e momenti di pax mafiosa, da 13 anni dominano le due ‘ndrine dei Nicoscia e degli Arena. Pugliese, nel 2012 condannato a 10 anni di reclusione per associazione mafiosa dalla corte d’assise d’appello di Catanzaro, da tempo è ritenuto una specie di mediatore tra le due fazioni. Nel corso della operazione antimafia Pandora del 2009, diretta dai magistrati di Catanzaro, Pugliese (che allora risiedeva a Gualtieri, nella Bassa reggiana) riuscì a occultare attraverso dei prestanome molte delle sue società per evitare il sequestro.
Ed è qui che inizia la storia della indagine odierna chiamata Zarina Aurora. Una di queste società riconducibili a Pugliese era finita sotto la lente dei carabinieri proprio dopo la segnalazione della Camera di commercio che aveva parlato di strani movimenti della ditta “Autotrasporti Emiliana Inerti S.r.l. unipersonale” di Gualtieri. Di fatto in mano a Pugliese, nel frattempo finito nelle maglie della giustizia, ma ufficialmente in mano a dei prestanome.
Subito le indagini dei carabinieri portano anche a un’altra famiglia di Isola Capo Rizzuto: la famiglia Tipaldi, da tempo impiantata in Emilia. Caterina Tipaldi, ora agli arresti domiciliari e residente assieme alla famiglia a San Giovanni in Persiceto, alle porte di Bologna, è la fidanzata, almeno sino a luglio 2011, di Michele Pugliese. Anche a lei (donna dal piglio deciso piglio deciso negli affari, tanto che i carabinieri che la intercettano la chiamano subito la ‘zarina’), il fidanzato intesta come prestanome aziende e immmobili, sia a Gualtieri che in provincia di Bologna, a Sant’Agata Bolognese. Intanto dopo un incendio avvenuto nel novembre 2011 in una cava di Sala Bolognese, dove effettuavano movimento terra alcune ditte calabresi, i carabinieri, questa volta quelli di Bologna, iniziano le loro indagini. Una volta risaliti però ai nomi di Tipaldi e di Pugliese, l’indagine si riunisce a quella di Reggio Emilia sotto il coordinamento della Dda di Bologna.
Ed è proprio quando Michele Pugliese e Caterina Tipaldi terminano la loro relazione amorosa che anche in Emila si sfiora la guerra di mafia. Quando nel febbraio 2012 Pugliese chiede alla donna 50 mila euro per potersi tenere una casa a Sant’Agata Bolognese che lui gli aveva fittiziamente intestato, lei, spalleggiata da suo padre, chiede invece all’ex del denaro in cambio per le spese che aveva dovuto sostenere per le attività dell’azienda che seguiva in quanto prestanome. Seguono momenti di tensione in cui il padre della Tipaldi accusa l’ex genero dell’omicidio del suo stesso fratello, Pasquale Tipaldi, ucciso nel 2005 (in realtà la corte d’appello di Catanzaro nel 2012 ha assolto Michele Pugliese da questa accusa per non avere commesso il fatto).
La questione si risolve quando interviene la sorella di Michele, Mery Pugliese. La donna (moglie di Fabrizio Arena, accusato dai pm calabresi di essere uno dei capi della omonima ‘ndrina) prende la cornetta e chiama in Emilia a casa del padre di Caterina: “Da domani in poi chiudetevi in casa perché io verrò a rompervi il culo. Devi guardarti da me perché io ci metto 5 minuti a prendere l’aereo e faccio scoppiare una guerra”. Sentite queste parole, e sentito il nome degli Arena, il padre di Caterina Tipaldi, con rispetto e voce tremante, abbassa la cresta. Del resto Fabrizio Arena è un nome che colpisce: è accusato di concorso nell’omicidio del boss Pasquale Nicoscia nel 2004, durante una guerra di mafia a Isola Capo Rizzuto.
Michele Pugliese, che era detenuto ai domiciliari (e ora andrà in carcere), è stato arrestato a Roma, dove era in permesso per motivi di salute. In carcere sono finiti Mirko Pugliese, Giuseppe Ranieri, Vito Muto, Diego Tarantino, Federico Periti e Mery Pugliese. Ai domiciliari oltre a Caterina Tipaldi sono finiti Carmela Faustini, madre di Michele Pugliese, Vittoria Pugliese, Doriana Pugliese, Anna La Face, Salvatore Mungo. Questi ultimi due, pur essendo nati a Crotone erano residenti rispettivamente a Guastalla e Gualtieri. I sequestri, ordinati dal Gip ,hanno invece riguardato 6 imprese di autotrasporti, 11 immobili, 2 hotel, diversi automezzi e automobili per un valore di circa 13 milioni.