I lavoratori contestano gli esuberi e rimpiangono i tempi in cui "essere qui era meglio che stare in banca". Secondo l'azienda, su un organico di 860 dipendenti, 180 dovrebbero accettare più flessibilità per tenere conto della crisi
“Se va avanti così, finiremo come gli stagionali dei pomodori”. La constatazione è amara, come lo stato d’animo degli operai dello stabilimento di San Sisto, quartiere di 10mila anime, nato e costruito attorno alla Perugina, la storica fabbrica dei Baci. L’odore di cioccolato si sente non appena si arriva sul trafficato viale che chiude la fila di case abitate e immette nella zona industriale. Anche questa è nata attorno alla fabbrica, quando lo sviluppo della fabbrica era lo sviluppo di Perugia. “Qui una volta – dice Michele Greco, coordinatore della Rsu – lavorare alla Perugina era meglio che lavorare in banca”. Erano gli anni ‘60 quando veniva inaugurato lo stabilimento di San Sisto e gli operai erano appena stati braccianti o mezzadri. La Perugina era il futuro, il “fiore all’occhiello della città”. Ancora oggi sono circa 4000 i curriculum che arrivano da ogni parte.
Uno spaccato del “come eravamo” lo offre l’amministratore del Circolo dipendenti fondato a poche centinaia di metri dalla fabbrica. “Se servisse a farla ritornare quello che era ci lavorerei gratis” dice l’ex operaio, oggi pensionato, con gli occhi gonfi di rammarico ma compiaciuto dal ricordo. Era il caporeparto delle caramelle “con cui riempivamo i buchi della stagionalità. Oggi, lei le vede le caramelle Perugina?”.
“Se la fabbrica riparte ci lavoro anche gratis”
Il problema è proprio quello dei consumi stagionali. Alla Perugina si lavora da luglio a dicembre per il picco natalizio e poi per la Pasqua fino a marzo-aprile. La “curva bassa”, il periodo di magra, inizia ad aprile ma “c’è sempre stato”, spiega Greco. “Solo che lo abbiamo gestito avendo a cuore gli interessi di tutti”. Oggi, invece, il sindacato denuncia il tentativo di abolire il contratto a tempo indeterminato per 180 lavoratori su 860, di cui 340 in produzione, 270 part-time e 150 impiegati. Poi ci sono i circa 250 che stagionali lo sono già. Con la proposta aziendale salirebbero a 450, la maggioranza assoluta: “Appunto, sorride il sindacalista, il lavoro alla Perugina sarebbe uguale alla raccolta estiva dei pomodori”.
“Ma figuriamoci se voglio trasformare 180 persone in stagionali e precari – risponde al Fatto Gianluigi Toia, responsabile delle relazioni industriali della Nestlé. Che però invita il sindacato “a raccogliere la sfida lanciata dal Jobs Act”. Ad esempio con l’ipotesi di garantire agli stagionali il lavoro in determinati periodi dell’anno: “Cosa sarebbe, lavoro a tempo determinato o indeterminato? Discutiamone, noi siamo aperti a tutte le soluzioni”. “Il problema è che l’azienda dorme” insiste l’ex caporeparto, “non c’è la testa che c’era una volta”. Greco allarga la visuale: “Una volta i capireparto erano tutti di Perugia, davano l’anima, pensavamo all’azienda ma anche ai compagni di lavoro che incontravano quando tornavano a casa”. Era un “mutuo scambio che faceva gli interessi di tutti”. Oggi, invece, ci sono i “giovani leoni, i capireparto appena laureati che passano di corsa alla Perugina avendo in testa il mondo Nestlé, concentrati su numeri e grafici aziendali. Ma i risultati non si sono visti”.
Intorno allo stabilimento il traffico corre veloce. Il turno pomeridiano vedrà la sua fine a tarda serata, alle 22, quello mattutino si è svolto dalle 6 alle 14. Quando la “curva è alta” si lavora anche su tre o quattro turni, ora in produzione ci sono circa 4-500 persone. Ancora per poco, passata la Pasqua si entra in letargo. Lo stipendio medio è di 1300 euro, dignitoso, ma non esaltante. Il problema, sottolineano i lavoratori, è che il colpo è arrivato all’improvviso. “Qui, ancora nel 2008, si è inaugurato l’asilo aziendale, l’estate si tiene il campus per i figli dei dipendenti e abbiamo anche sperimentato forme di compartecipazione alla tedesca”. Poi, nell’ultimo anno, la musica è cambiata.
“Una volta si dava l’anima, oggi governano i giovani leoni”
Prima la cassa integrazione per 640 dipendenti, ora il possibile licenziamento per 180. Eppure il mercato del dolciario, secondo i dati di Confindustria, è stabile e gli stessi volumi produttivi della Perugina, conferma Toia, sono uguali a quelli del 2008: “Ci ha salvato l’export”. Ma l’azienda denuncia la crisi. Curioso che l’odore di cioccolato che si diffonde lunga il viale di San Sisto non provenga dalla Perugina ma dalla Barry Callebaut che ha rilevato la produzione di cioccolato: “Quella non ha crisi, constata Greco, si lavora 12 mesi l’anno”. Contraddizioni in senso all’impresa. Il sindacato punta il dito contro il management: “Non c’è diversificazione dei prodotti, manca del tutto la pubblicità. Lei, conosce I Nudi?”. Mai sentiti. Li scopriamo allo spaccio del Circolo dipendenti dove si possono acquistare i prodotti Nestlé a prezzi ridotti. C’è di tutto, compresa la famosa Confiserie, “le confezioni artigianali di cioccolatini con gadget che ci hanno reso celebri. Una volta era il reparto modello, molto ambito dalle operaie”.
Il Circolo dipendenti trasuda di nostalgia. Nella sala ricevimenti e cene ci sono molte foto. Tra queste, quella della visita di Giorgio Napolitano, ma soprattutto quella di Alberto Sordi che si fa scorrere tra le mani centinaia di caramelle. Oggi alla Perugina, nonostante il Museo del cioccolato conti circa 50 mila visite l’anno, non c’è nessun Alberto Sordi a fare visita.
da Il Fatto Quotidiano del 9 aprile 2014