Più che dell’ormai proverbiale Grande bellezza, Pompei sembra oggi il simbolo della Grande indifferenza: l’indifferenza assolutamente nostrana per l’immenso tesoro d’arte e di cultura che ci è toccato in sorte di custodire, quasi fosse un’eredità indesiderata.
Così, se allo straniero l’arte italiana può essere perniciosa via Sindrome di Stendhal, a noi autoctoni pare ci insidi piuttosto sottoforma di indigestione cronica, un ‘troppo’ che ci toglie ogni gusto, sino – appunto – all’indifferenza.
Ricordate quelle fantastiche righe della Cognizione del dolore di Gadda, in cui si parlava dell’eccesso di steli e iscrizioni e sacelli e obelischi che intasavano fin gli ultimi depositi museali del lontano e favoloso Maradagàl? Ecco una cosa così.
Peraltro già negli splendidi versi della Ginestra leopardiana Pompei fu simbolo della Grande fragilità, lì cosmica e sin eroica, segno della minorità umana a petto dell’universo, della nostra insignificanza in quanto specie, genere umano, oggi piuttosto in quella ‘storica’, dovuta all’ignavia e alla colpevole noncuranza dei governi italioti, che peggio dell’arte e della cultura hanno trattato solo la scuola pubblica (e non è un caso, ovviamente).
Ma il giorno in cui Pompei crollerà (se pur non sarà lo Sterminator Vesevo a pensarci prima), crollerà anche ogni residua speranza che questo paese ha di tornare a essere all’altezza di se stesso.
E non solo perché perderemo un immenso tesoro d’arte e di civiltà, ma perché rinnegheremo la volontà, onestissima, di chi prima di noi ha voluto riscoprire, recuperare, salvare. Perché rinnegheremo definitivamente la memoria. Cioè la nostra identità.
Ho aderito dunque con convinzione alla richiesta di Valerio Grutt – attore e poeta – e Mattia Fontanella – che da tempo organizza la parte più bella delle iniziative culturali delle Coop – di dare spazio a questo loro appello a tutti gli artisti, gli intellettuali i cittadini italiani per convergere tutti a Pompei, prossimamente, e abbracciarla, circondarla, proteggerla, come avrebbe detto Leopardi a fare “social catena”.
Perché se cambiamento pure ci sarà, questo cambiamento certo dovrà passare anche per i corpi, è anche grazie alla volontà di mettere in gioco i nostri corpi – con gentilezza, ma anche con fermezza e dignità – che potremo forse giocarci quella che, giorno dopo giorno, sembra sempre più l’ultima chance.
L’ospitare questo appello – che qui di seguito vi incollo – vale anche come mia firma in calce, ovviamente. La terza. Chi mette la quarta?
[per adesioni scrivere a v.grutt@gmail.com]
Cari artisti, cari intellettuali, cari cittadini
crediamo che, ora più che mai, sia importante battersi per migliorare la nostra vita e, quindi, quella delle altre persone. Partendo dalla cultura, dal nostro patrimonio storico-artistico: la nostra grande bellezza. Dobbiamo aprire gli occhi e svegliarci da questo sonno che ci rende impotenti davanti alle efferatezze. Pompei crolla, come crollano le speranze di un paese che vorrebbe splendere, essere territorio felice. Qualcosa si può fare, ci sono le risorse, ma non viene fatto. Tutto diventa esempio di abbandono, della terra alla terra, dell’uomo a se stesso. Ora più che mai, salvare Pompei vuol dire salvare l’Italia, lasciarla crollare vuol dire lasciarsi crollare – sprofondare nel nulla. Quando pensiamo che lottare per cambiare le cose sia inutile, allora lo diventa davvero. Occorre fare uno sforzo, smettere di avere fede nella sconfitta e alzare la testa. Se salviamo Pompei, salviamo noi stessi.
L’8 giugno circonderemo gli scavi di Pompei con un grande abbraccio, per proteggere questo “Patrimonio dell’Umanità” e manifestare con dolcezza la nostra volontà di cambiamento. Non un’azione politica ma un gesto per costruire e non per distruggere, una dichiarazione d’amore per quello che potrebbe essere questo Paese e non è. Unitevi a noi in questo atto simbolico, per dare un chiaro segnale a chi dovrebbe attivarsi e resta fermo, a chi ha dimenticato di avere ricevuto un fiore e lo lascia appassire, abbracciamo Pompei per riappropriarci, con coraggio, de La grande bellezza.
Un caro saluto,
Mattia Fontanella, Valerio Grutt