L’Italia è il paese delle strane coppie. Lo fece notare il premier Renzi, qualche settimana fa, per Squinzi-Camusso, ma oggi ne vediamo una ancora più strana: Confindustria digitale e Altroconsumo. Vale a dire, i rappresentanti delle multinazionali tecnologiche a braccetto con un’associazione dei consumatori.
Questa bizzarra unione è nata per attaccare ferocemente la ‘copia privata’ e chi, come la Siae e gli autori italiani, la difende.
Vediamo di capire meglio di cosa si tratta. Secondo la legge, la copia privata è un compenso versato all’acquisto di uno strumento che offre la possibilità di copiare un’opera creativa legittimamente acquistata protetta da diritto d’autore: un cd vergine, un lettore Mp3, un tablet o uno smartphone, etc…. Il compenso in Italia è riscosso dalla Siae che lo ripartisce ad autori, produttori, editori ed interpreti della filiera della musica e della produzione audiovisiva (per legge, contrariamente a quanto troppo spesso si dice, Siae non ha alcuna provvigione sulla copia privata). Tutti i principali stati europei (fatta eccezione per la Gran Bretagna, dove ad oggi riprodurre copie anche ad uso privato è ancora considerato reato) hanno concesso questa possibilità a fronte di equo compenso volto a remunerare i titolari dell’opera riprodotta. Per fare un esempio legato agli smartphone, l’Olanda prevede un compenso di 2,50 euro, in Francia dagli 8 ai 16 euro in relazione alla memoria del dispositivo e , in Germania arriva fino a un massimo di 36 euro. In Italia, sapete a quanto ammonta? 0,90 centesimi. Tuttavia, sorpresa sorpresa, nonostante l’Italia abbia oggi le tariffe più basse di copia privata ha, rispetto ai citati paesi, i prezzi dei device più alti in Europa.
Il Ministro della Cultura Dario Franceschini ieri ha dichiarato che entro la prossima settimana scioglierà le riserve: “Probabilmente mi farò fucilare da tutti (…) ma è un mio dovere aggiornare le tabelle’’. Una dichiarazione coraggiosa soprattutto in un clima nel quale c’è chi, come Confindustria digitale, ne chiede addirittura l’abolizione.
Il Ministro però è stato chiaro, prendendo una posizione in difesa del diritto d’autore: “E’ quello che consente la libertà di un artista” e ricorda che il tema ”è in cima alle agende europee”.
In questo senso risulta davvero interessante l’intervento del Presidente francese François Hollande nel messaggio inaugurale per il Forum di Chaillot, il più importante meeting europeo sulla cultura e la creatività, tenutosi a Parigi la scorsa settimana. Partendo dal presupposto che “creatività e innovazione nel settore culturale apportano un contributo essenziale per le nostre economie”, Hollande dice chiaramente che – in un panorama sconvolto dalla rivoluzione digitale e dalla globalizzazione – “per garantire alla cultura europea la possibilità di mantenere la posizione predominante nel mondo è essenziale coinvolgere i protagonisti della rivoluzione digitale nell’economia del settore culturale, nel finanziamento della creazione e della visualizzazione delle opere culturali”.
Nella sterile polemica sulla copia privata, troppo spesso abbiamo letto mistificazioni della realtà come l’accusa che “la copia privata rallenta l’agenda digitale italiana” o che “è una mazzata per l’industria digitale”. Davvero qualcuno pensa che un contributo di 4 o 5 euro all’acquisto di uno smartphone che mediamente costa 500/600 euro, siano un insopportabile costo per il consumatore? È evidentemente un argomento privo di logica, che mira a nascondere la reale domanda: perché i produttori tecnologici vendono i propri prodotti in Italia al prezzo più alto d’Europa?
Come svela in una recente intervista l’amministratore delegato di Nokia Italia Paola Cavallero, “il consumatore italiano investe davvero sul device (…) Qui conta di più l’elemento del valore del prodotto”. Quindi, a domanda alta si risponde con prezzi alti.
Oltretutto, le multinazionali tecnologiche spesso hanno sedi all’estero, in Paesi come l’Irlanda o Lussemburgo dove si pagano meno tasse. Quindi gli enormi profitti realizzati nel nostro paese per la vendita di smartphone e tablet (si parla di una crescita media a doppia cifra solo nell’ultimo anno), non garantiscono all’Italia una ricchezza proporzionata ai loro guadagni. Nulla di illecito, chiariamo, ma per lo meno vale la pena rifletterci.
A mio parere è indubbio che rendere legale il diritto di copiare ad uso privato opere (acquistate legittimamente) sui nostri vari device (compro un cd e lo copio sul mio smartphone, tablet, pc per averlo sempre con me) sia un vantaggio in più per il consumatore ma anche un’importante elemento di marketing per i produttori.
Qui sotto riportiamo una tabella che evidenzia il numero di brevetti che paghiamo quando acquistiamo uno smartphone.
Nell’ambito dei vari utilizzi lo smartphone che acquistiamo ci consente, grazie alle licenze di copia privata, di poter copiare tutti i cd nella sua library e di usarlo come se fosse un lettore mp3. In fondo è proprio lo slogan dello spot di Iphone5 … “sempre più persone ascoltano musica con Iphone”.
Quindi la copia privata consente un vantaggio per il consumatore, offre un’opportunità di marketing in più al produttore di device e con tariffe adeguate di equo compenso consente di remunerare coloro che hanno creato l’opera e che spesso nel contesto odierno fanno fatica a vivere del loro lavoro creativo. Tutto questo si può fare anche abbassando i prezzi di vendita di device in Italia.
Perché, dunque, non ribaltiamo le alleanze e proviamo a formare una nuova coppia all’insegna del diritto, non solo d’autore, ma di tutti? Facciamo una battaglia comune, tra Autori e Altroconsumo, e chiediamo a voce alta che i prezzi dei device siano in linea con gli altri paesi Europei, così come l’equo compenso per la copia privata.
Filippo Sugar