È appena uscito un appello di autorevoli economisti, tra cui Lorenzo Bini Smaghi, Marcello De Cecco, Jean-Paul Fitoussi contro l’uscita dell’Italia dall’euro. Questi economisti affermano che tornare alla moneta nazionale ci farebbe precipitare in una crisi tremenda, che ricomparirebbe l’inflazione a due cifre, che saremmo costretti a svalutazioni competitive che tagliano i salari, ecc. ecc.

Probabilmente drammatizzano, ma si può convenire che un’uscita unilaterale dell’Italia dall’euro sarebbe un grande salto nel buio. Tuttavia due fatti grandi come un grattacielo sfuggono agli eccellenti firmatari.

Innanzitutto dimenticano che l’euro ha fatto troppo male all’economia e alle famiglie italiane. È francamente impossibile affermare che… fuori dall’euro saremmo stati peggio e che l’euro ci ha protetto dalla crisi! È vero il contrario. In Italia in cinque anni di crisi abbiamo perso circa l’8,5% del Pil e il 30% degli investimenti. La base industriale è diminuita del 20%. I redditi sono scesi al livello dei primi anni ’90, quando l’euro ancora non c’era, e l’Italia ha il 13% di disoccupazione. Un terzo delle famiglie è a rischio povertà. Aumenta la pressione fiscale e diminuisce la spesa pubblica per sanità, istruzione, ecc. Ma cresce ancora il debito pubblico. Il futuro è sempre più nero con il fiscal compact firmato da Monti, Berlusconi e Bersani per rispettare i diktat dell’euro. Se rimarremo nell’euro dovremo tagliare la spesa pubblica di 50 miliardi all’anno per venti anni. Un massacro. Peggio di così… non è possibile!

Inoltre gli eccellenti economisti affermano che: “la proposta di uscire dall’euro impedisce all’Italia di contribuire ai necessari cambiamenti della politica europea per contrastare la deflazione, la disoccupazione di massa e la stagnazione”. Il problema è che si illudono. I trattati di Maastricht e del fiscal compact su deficit e debito pubblico impediscono a priori una gestione diversa e alternativa (espansiva) della politica economica. Il dramma dell’Europa e dell’Italia è proprio questo: l’euro è irriformabile anche se cambiasse tutto il Parlamento europeo! Tutto è già stabilito dalle minuziose e rigide regole deflazioniste dei trattati intergovernativi europei scritti sotto dettatura della Merkel e di Wolfgang Schäuble per conto delle maggiori banche tedesche ed europee. La suicida politica d’austerità non può essere modificata se non cambiando i trattati – e una modifica richiede l’unanimità dei 28 stati firmatari, Germania compresa! -. In pratica è possibile ripudiare i trattati ma non modificarli!

Ma tra rimanere strangolati dall’euro e l’uscita unilaterale esiste una terza possibilità. Occorre recuperare il progetto Bancor, la moneta proposta da Keynes a Bretton Woods. È infatti possibile che i paesi europei recuperino la sovranità monetaria e creino una loro moneta comune (e non una moneta unica) – l’Eurobancor –. L’Europa dovrebbe concordare il ritorno alle monete nazionali in un regime di cambi fissi aggiustabili. Ogni stato dovrebbe potere decidere autonomamente la sua politica economica e monetaria ma i tassi di cambio dovrebbero essere decisi tra gli stati europei (come avvenne all’inizio con l’euro). La Bce dovrebbe allora avere il monopolio della convertibilità delle monete europee – lira-bancor, franco-bancor, lira-marco, ecc – per evitare la speculazione che affossò la lira e la sterlina nel 1992. La Bce potrebbe gestire anche l’Eurobancor, la nuova moneta comune formata dal paniere delle monete europee, per fronteggiare dollaro e yen sui mercati internazionali. Così forse potremmo uscire dalla crisi.

Comunque sono i cittadini a dover decidere dell’euro, e non Bruxelles, Berlino o Francoforte. Referendum su euro e fiscal compact sarebbero utili per per informare l’opinione pubblica e fare sentire la voce dei cittadini. Questa sì sarebbe una bella riforma della Costituzione!

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