Loris Rispoli e Angelo Chessa sono i simboli di una battaglia civile lunga 23 anni. Sul traghetto hanno perso rispettivamente la sorella e i genitori. E ora che si parla di una possibile commissione d'inchiesta sul disastro del 1991 ci sperano, ma avvertono: "I politici lo hanno sempre saputo: non gli abbiamo mai dato un palco per parlare ma una sedia per ascoltare"
Sono i simboli di una battaglia civile lunga 23 anni. Le due facce, molto diverse tra loro, di una lettera spedita l’11 aprile 1991, mai perduta, e ancora da recapitare. Una spada di Damocle che da 23 anni pende sulle teste dei veri responsabili di quanto accaduto alle 140 vittime della Moby Prince. Loris Rispoli e Angelo Chessa: due vite, due altezze, persino due approcci alla vita distanti, ma un’unica battaglia e un’unica spinta comune verso la scrittura di un finale diverso. Uniti dal destino “cinico e baro” (così disse un pm) di aver perso dei cari sulla Moby Prince – Loris la sorella Liana, commessa della boutique di bordo, e Angelo il padre Ugo, comandante del traghetto, e la madre Maria Giulia, a bordo per quasi per caso – per vent’anni hanno combattuto sullo stesso campo con due strategie diverse. Oggi convergono, fianco a fianco, nell’ultima battaglia. Firmano insieme il report tecnico che inchioda la politica davanti all’inevitabilità della commissione parlamentare d’inchiesta e lanciano la sfida finale: chi sa parli, siamo ancora qui e ci resteremo fino alla fine.
Come si è comportata finora la politica su questa vicenda? “Se n’è completamente dimenticata – racconta Loris – e l’ha rimossa. L’unica grossa forza politica che mandò il segretario fu nel 1992 il Pds con Occhetto. Mi fece piacere ma non ne abbiamo mai fatto una questione di appartenza. Una volta una persona mi chiese ‘ma se venisse Fini, lo prenderesti a braccetto come con Occhetto?’. Certo, lo avrei fatto ugualmente perché durante quel percorso a braccetto gli ho raccontato la vicenda. I politici lo sapevano: non gli avremmo dato un palco per parlare ma una sedia per ascoltare“. Angelo ricorda i tentativi di istituire la commissione d’inchiesta, sempre naufragati benché bipartisan “ora per problemi di voto ora perché, appena ci si avvicinava alla costituzione, cadeva il governo“.
Oggi sembra diverso, Sel alla Camera e M5s al Senato hanno presentato ciascun gruppo un proprio disegno di legge. Forse un riscatto della politica? Angelo è cauto: “I firmatari sono persone nuove, giovani e non legate ad una serie di poteri, ma aspettiamo l’approvazione e i nomi in commissione. Se davvero ci fosse una commissione in grado di lavorare seriamente potrebbe riuscire ad acquisire i tracciati radar militari italiani o tracciati Nato a Bruxelles e magari avremmo documentazione sufficiente per riaprire il caso. In questo senso non so se sarebbe un riscatto, forse un esempio internazionale se operasse anche per verificare i motivi delle coperture politiche avute fino ad oggi”.
Coperture, manomissioni, depistaggi, archiviazioni, errori. Cosa insegna la storia del Moby Prince? Angelo è tranciante: “Il cittadino deve solo sperare che non gli accada niente di simile. Ma se riuscissimo a ribaltare questa storia giuridica potrebbe essere l’inizio di una vera democrazia“. Loris, da sempre promotore di una lettura profonda dei significati di questa vicenda, concorda: “Una storia come questa insegna a tutti che quando si vuole nascondere la verità si hanno tutti i mezzi per farlo, se dall’altra parte non c’è una forza enorme. Per questo io continuo a sostenere i familiari delle vittime della strage di Viareggio e ad invitarli alla compattezza. Serve una forza enorme, proporzionale a chi si ha dall’altra parte”.
Cosa vi aspettate da questa commissione d’inchiesta? “Che si cominci a scrivere, seppure nelle inevitabili difficoltà, la storia reale della vicenda – sospira Rispoli – Ci sono delle responsabilità che abbiamo sempre denunciato e crediamo che queste possano essere finalmente evidenziate e certificate”. Chessa è più tecnico: “La prima cosa da fare è acquisire la documentazione esistente e quella mancante. Ottenuti questi dati ed evidenziata in maniera inequivocabile la dinamica della collisione si può procedere al resto. Viene da sé che se la dinamica è diversa da quella descritta finora, va rifatto il processo e quindi si potrebbe riaprire il caso anche sul fronte giudiziario”.
Gli elementi portati a sostegno sono molti, sembra necessaria solo la pazienza di documentarsi e il coraggio di agire da parte dei parlamentari in commissione. Opposto a quanto raccolto finora? Angelo ricorda “la prima volta che ci fu una delle prime richieste di commissione parlamentare: fummo invitati in commissione Stragi. Parlammo delle nostre considerazioni e portammo anche alcuni filmati. Il presidente di allora era Giovanni Pellegrino. Praticamente è come se gli avessimo fatto vedere un cartone animato di Walt Disney, la stessa empatia. L’assoluto menefreghismo”.
Il 10 aprile, a Livorno, è l’appuntamento per chi vuole stare accanto alla loro battaglia. C’è un segnale positivo che la politica può dare in questa giornata per dimostrare l’avvio di un nuovo corso? “E’ un momento di incontro, di raccoglimento e di memoria rispetto alla vicenda – racconta Loris – I familiari vengono da tutta Italia intanto per sapere. Dare a queste persone un’informazione già importante come quella che si sta lavorando per la commissione d’inchiesta è un passo avanti che farà piacere a tutti. Dare ai familiari la sensazione che veramente stiamo lavorando in questo senso, per una commissione che vuole scavare fino in fondo sarebbe il massimo. Se la politica riuscisse a votare questo provvedimento, nello stesso momento in cui stiamo ricordando e commemorando queste vittime, sarebbe il segnale chiaro che si desidera iniziare a dare una verità a chi da 23 anni la attende”.