Faccia a faccia dopo anni di muro contro muro per provare a capire se si può uscire dal vicolo cieco dell’articolo 9 della Legge Amato che regola i Daspo e superare la tessera del tifoso. I rappresentanti di circa trenta tifoserie italiane e parlamentari di Pd, M5s e Fratelli d’Italia si sono incontrati oggi pomeriggio nelle sale di Palazzo Santa Chiara a Roma. Un primo approccio per discutere dei due provvedimenti anti-violenza che hanno visto la partecipazione anche di delegati di Figc e delle Leghe professionistiche. Gli spiragli per superare due provvedimenti da più parti definiti fallimentari ci sono, almeno a giudicare dalla trasversalità dei partiti presenti.
MODIFICARE L’ARTICOLO 9 – “Il sistema fa acqua da tutte le parti. E’ arrivato il momento che si ascolti la voce dal basso. I tifosi sono i fruitori, i clienti, ma nessuno ha mai provato a capire le loro ragioni”, spiega l’avvocato Lorenzo Contucci, uno dei massimi esperti di Daspo in Italia. Tutto ruota attorno alle conseguenze provocate dall’applicazione di quella sigla che racchiude un provvedimento di divieto d’accesso alle manifestazioni sportive. I tifosi battono sulla rimozione dell’articolo 9 della legge 41 del 2007 “che se interpretato alla lettera prevede l’impossibilità per chiunque ha preso un Daspo – argomenta Contucci – di avere titoli d’accesso alle manifestazioni sportive anche dopo la fine del divieto”. Una criticità evidenziata anche dall’Osservatorio nazionale sulle manifestazione sportive che ha infatti circoscritto il divieto a chi lo sta ancora scontando. “Ma potenzialmente è interpretabile appieno da domani – spiega Contucci – Per questo abbiamo scritto una norma d’interpretazione autentica che mettiamo a disposizione del legislatore”. La proposta di Contucci si aggancia al disegno di legge di modifica dell’articolo 9 presentato negli scorsi giorni dai grillini Vacca e Del Grosso e che a giudicare dalla presenza all’incontro dell’ex capogruppo M5s Vito Crimi, di rappresentanti di Pd e Fratelli d’Italia – oltre al segretario dei Radicali Mario Staderini – potrebbe trovare sponde inedite in Parlamento.
COME FUNZIONA LA TESSERA – L’altro capitolo spinoso riguarda lacci e lacciuoli della tessera del tifoso, criticata anche dal presidente dell’Uefa Michel Platini e dal numero uno del Coni Giovanni Malagò. La tessera esiste solo in Italia e l’introduzione dalla stagione 2010/11 del sistema di “questura on line” la rende di fatto superflua. Nel momento in cui si compra un biglietto per lo stadio, infatti, chi lo emette ha bisogno di un documento d’identità in originale i cui dati vengono immessi nel sistema e controllati all’istante dal Cen di Napoli, il centro di elaborazione dati della Polizia che ne autorizza o meno la vendita. “E’ lo stesso sistema che regola la tessera del tifoso. Ma se il controllo avviene nello stesso modo per il singolo biglietto e per la tessera, a cosa serve quest’ultima? – si domanda Contucci – Così si allontana la gente dallo stadio. Basti pensare che la tessera è necessaria anche per gli under 14: se è stata pensata per motivi di sicurezza, che senso ha l’obbligatorietà per chi è ancora in un’età tale da renderlo non imputabile?”.
TULLO (PD): “DIALOGHIAMO” – E’ la domanda posta dai tifosi di Brescia, Sampdoria e Atalanta dai quali è partito l’appello accolto da altri gruppi tra i quali Milan, Udinese, Padova, Bologna, Napoli, Parma, Avellino, Fiorentina, Genoa, Ascoli e Venezia. Una lotta trasversale tra tifoserie spesso contrapposte sugli spalti nel nome di tessera e Daspo, mai digeriti e che negli ultimi mesi fanno acqua anche nei tribunali. Dall’inizio del 2014 i Tar di Liguria e Toscana ne hanno annullati 129. Tra questi i 93 inflitti ai tifosi della Sampdoria che il 20 ottobre scorso erano stati allontanati da Livorno perché muniti di biglietto ma senza tessera. Il deputato democratico Mario Tullo pochi giorni dopo presentò un’interrogazione parlamentare e oggi a ilfattoquotidiano.it dice: “La tessera del tifoso non ha funzionato. Nessuno cerca comprensione alla violenza, sotto nessun punto di vista. Gli ultras lo sanno. Ma bisogna stabilire cosa devono pagare se sbagliano. E’ il momento di aprire il dialogo e questo è un compito che spetta alla politica. Per trent’anni si è affrontata solo la parte repressiva, in alcuni casi necessaria. Ma un paese civile affianca il confronto alla fermezza”.