L'ex senatore è ufficialmente ricercato. Il 4 aprile era stata rigettata la richiesta della procura di divieto di espatrio. Il fratello gemello intercettato al telefono: "Il programma è quello di andarsene in Libano, a Beirut, perché è una città dove Marcello ci starebbe bene perché lui c'è già stato, la conosce, c'è un grande fermento culturale"
Dice di essere all’estero per curarsi, definisce “aberrante” la richiesta di custodia cautelare e assicura di non volere sottrarsi all’arresto. Evita accuratamente, però, di dire dove si trova in questo momento. Marcello Dell’Utri, condannato in appello a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa Nostra, a pochi giorni dalla sentenza della corte di Cassazione che potrebbe aprirgli le porte del carcere, è ufficialmente latitante.
Se la sua clandestinità sia dovuta davvero a motivi di malattia non è al momento dato sapere. E’ un fatto però che Alberto Dell’Utri, fratello dell’ex senatore, già cinque mesi fa tratteggiava i contorni di una possibile fuga del fondatore di Forza Italia. “Qua bisogna accelerare i tempi fin quando che Marcello è libero, perché se poi non ce la fa?” dice il gemello di Dell’Utri, colloquiando l’8 novembre 2013 con Vincenzo Mancuso all’interno del ristorante romano Assunta Madre, mentre le cimici della procura di Roma carpiscono ogni parola. Accelerare i tempi per cosa? Se lo sono chiesti i pm della procura generale di Palermo che hanno inserito l’intercettazione nella richiesta d’arresto convalidata l’8 aprile dalla corte d’appello. “Lui è andato lì (per gli inquirenti si tratta di Bruxelles) insieme a questi della Guinea Bissau che lo hanno preso in seria considerazione e gli hanno dato il passaporto diplomatico, gli hanno aperto le porte” racconta al suo interlocutore Alberto Dell’Utri. “Se io fossi Marcello prenderei un volo diretto per Tel Aviv: se è possibile andarci in macchina è meglio, aereo no, parte il timbro, perché il passaporto a lui rimane, non bisogna lasciare traccia” è invece il consiglio fornito da Mancuso.
Secondo una nota della Questura di Milano del 29 gennaio 2014, Dell’Utri “è (legittimo) possessore di documenti per l’espatrio passaporto rilasciato nel 2006 e carta d’identità”. Documenti che però non sarebbero stati utilizzati per andare in Guinea. La meta prescelta dall’ex senatore, infatti, sarebbe un’altra. “Il programma – svela sempre Alberto Dell’Utri – è quello di andarsene in Libano perché lì è una città dove Marcello ci starebbe bene perché lui c’è già stato, la conosce, c’è un grande fermento culturale, per lui andrebbe bene”. Ed infatti è proprio in Libano, a Beirut, che gli inquirenti hanno localizzato un’utenza telefonica utilizzata da Dell’Utri il 3 aprile. “Devi avere gente sul posto che ti aiuta: che fai, vai lì e non conosci nessuno? Invece questi sono ben sistemati” fa notare sempre il fratello Alberto facendo anche cenno ad un tale Gennaro, che avrebbe fornito a Dell’Utri consigli sul piano di fuga: per la Dia si tratta di Gennaro Mokbel, già vicino a componenti della Banda della Magliana, ad ambienti “neri” e coinvolto anche nell’inchiesta su Finmeccanica. La decisione di volare verso Beirut, leggendo l’intercettazione, sarebbe già stata presa a novembre, dato che il fratello di Dell’Utri si lascia sfuggire che “siccome i tempi stringono, Marcello dieci giorni fa ha cenato con un politico importante del Libano che è stato presidente e che adesso si candida alle prossime elezioni”. Parole che per la corte d’appello presieduta da Raimondo Lo Forti non lasciano dubbi.
“E’ emerso con tutta evidenza che l’imputato intende lasciare l’Italia con la massima urgenza per recarsi a Beirut e ciò al fine di sottrarsi all’esecuzione della sentenza” scrivono i magistrati ordinando l’arresto dell’ex senatore. Solo che quando gli ufficiali della Dia si sono recati nell’abitazione di Dell’Utri per arrestarlo, era troppo tardi: Dell’Utri era ormai irreperibile. Il sostituto procuratore generale Luigi Patronaggio aveva già chiesto l’arresto di Dell’Utri il 25 marzo 2013, la sera stessa della condanna in secondo grado, evidenziando l’entità della pena inflitta, i viaggi effettuati nel marzo del 2012 (negli stessi giorni in cui si attendeva il primo verdetto della Cassazione) e la grande disponibilità di denaro del condannato (che possiede anche una residenza a Santo Domingo): elementi che non erano bastati per aprire le porte del carcere all’ex senatore.
Appena il 4 aprile scorso, poi, la Procura generale si era vista cassare la richiesta per vietare l’espatrio a Dell’Utri, che in quelle ore era già all’estero. “L’unica cosa che mi può salvare? Un imprevisto” diceva il fondatore di Forza Italia negli attimi precedenti alla sentenza del marzo scorso. Un anno dopo, “l’imprevisto” si è materializzato nelle quattro pagine con cui la sezione per il riesame del tribunale di Palermo rigetta il divieto di espatrio. Una richiesta avanzata e già rigettata dalla corte d’Appello il 10 marzo. Il motivo? “La corte d’Appello – si legge nella preambolo della sentenza del riesame – ha rigettato questa ulteriore richiesta cautelare, sostenendo che l’unica misura applicabile, visto il tipo di reato in relazione al quale l’imputato è stato condannato, è quella della custodia cautelare in carcere, mentre ogni altra misura sarebbe illegittima”.
La richiesta di vietare l’espatrio all’ex senatore è stata rigettata poi anche dal Riesame, nonostante agli atti fosse stata allegata la conversazione tra Alberto Dell’Utri e Mancuso. Solo che quell’intercettazione era stata ordinata dalla procura di Roma nell’ambito di un’indagine su un terzo soggetto, l’imprenditore calabrese Gianni Micalusi. “A ben vedere, l’intercettazione in questione non è funzionale all’accertamento di un delitto (il delitto imputato a Dell’Utri è stato già accertato in sede di merito e l’intercettazione in questione nulla aggiunge e nulla toglie)” scrivono i giudici del riesame. “L’art. 270 del codice di procedura penale – spiegano – prevede che le risultanze delle intercettazioni non possano essere utilizzate in procedimenti diversi da quelli in cui le medesime intercettazioni sono state disposte, salvo che siano indispensabili per l’accertamento dei delitti”.
Il delitto imputato a Dell’Utri, per il quale i pm chiedevano il divieto d’espatrio, è il concorso esterno in associazione mafiosa, già accertato in secondo grado: l’intercettazione tra il fratello Alberto e Mancuso proviene da un’altra indagine e non aggrava in alcun modo il reato contestato all’ex senatore. Secondo il codice dunque, i giudici non possono valutarla. E’ il 4 aprile scorso e mentre in Italia viene respinta la richiesta per vietargli l’espatrio, Dell’Utri si trova già all’estero da almeno 24 ore. Pochi giorni dopo sarebbe stato ordinato l’arresto. Troppo tardi, però, perché ormai l’ex senatore è latitante. E l’articolo 270 del codice di procedura penale è “l’imprevisto” che gli ha evitato le manette. Almeno per ora.