Cinque donne capolista per le Europee, cinque personalità politiche su cui sarebbe stato possibile criticare o essere in disaccordo per mille motivi, ma Grillo ha scelto di chiamarle “veline” (quattro su cinque per non ledere all’impaginazione) di un improbabile gabibbo-Renzi. Hanno tutte le spalle abbastanza larghe da non aver bisogno di avvocati. Inoltre, è più che probabile che Grillo usi una retorica maschilista all’unico scopo di aumentare i contatti del blog e far parlare di sé, conscio che in buona parte i suoi sono legati a lui da una relazione più fideistica che razionale, quindi difficili da perdere nonostante le sparate.

Difendersi, se sei donna, in Italia è più difficile, perché più feroce la critica. Non è solo il caso di Grillo, anzi. Sembra che la società, nel valutare l’agire politico, pretenda molto di più da una donna che da un uomo, quasi che vi sia un implicito paradigma per cui un uomo in politica è lì in quanto eletto per le proprie qualità o conoscenze, una donna in quanto oggetto ornamentale. Ovvero una donna deve meritarsi il diritto a stare là, non basta essere eletta. Essere donna è di per sé un handicap da superare, perché nella tua valutazione c’è sempre la velata insinuazione che alla fin fine sei lì per una e una sola dote. All’uomo date un ruolo e poi valutate se sa cogliere la sfida, alla donna prima valutate e poi semmai date.

Più in alto si va, più si allarga la forbice, se avere un sindaco donna può essere (quasi) normale, avere un presidente di Regione è già un po’ più speciale, un presidente della Camera più unico che raro, presidente del Consiglio o della Repubblica, quasi impensabile. Anche dal punto di vista della cronaca giudiziaria, commenti annessi, è diverso. Se finisce nell’occhio del ciclone Ilaria Capua o Josefa Idem o Nunzia De Girolamo c’è silenzio, le si lascia sole volentieri. Non c’è appello e non ci sono scudieri pronti a difenderle, se ci finisce un Franco od un Michele diventa tutto un “aspettiamo”, un “valutiamo” o un “attendiamo che la giustizia faccia il suo corso”. Due di queste le conosco, Josefa e Ilaria, le stimo moltissimo come persone, come professioniste e per come hanno letto e condotto il loro mandato politico, continuerò a stimarle fino a prova contraria, sono convinta siano innocenti e lo dico attendendo con ansia siano completamente riabilitate come, a mio avviso, meritano.

Fermo restando che ognuno ed ognuna ha il dovere di rispondere alla magistratura e ad essa non è mia intenzione sostituirmi, rimane una sostanziale differenza nel vocabolario usato quando si tratta di un sesso o dell’altro. Non si tratta di grandi fatti, ma la scelta di qualche parola o differenti impostazioni del discorso, spie di una cultura sottostante ancora profondamente radicata.

Allora, scelte, anche simboliche, come quella fatta dal Pd per le Europee possono cambiare realmente le cose. Parliamo da decenni della questione femminile, ma sembra di tornare sempre al punto di partenza e che questo argomento sia in fase di esaurimento dal punto di vista giornalistico e retorico. Insomma ne ho piene le scatole di continui, gratuiti attacchi all’essere “donna”. Servono fatti concreti che modifichino gli equilibri di rappresentanza. Il percorso intrapreso dal Pd non è semplice restyling o una pura operazione di marketing. Mi viene da credere che, vedendo i maschi litigare per il primato di lista, Matteo Renzi abbia risolto le cose a modo suo, ritirandoli tutti, buoni o cattivi. Per noi è un’opportunità, un seme che, se coltivato potrà dare buoni frutti per la società.

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