Passano le quote rosa per le europee (a partire dal 2019), ma nessuna modifica alla soglia di sbarramento. La sinistra del Pd aveva appoggiato la richiesta di Sel, Scelta Civica e Lega di ridurre dal 4% al 3% il traguardo elettorale minimo richiesto per accedere alla ripartizione di seggi in Europa, ma alla fine non c’è stato nulla da fare: lo sbarramento del 4% rimane al posto suo e a prendere per buoni i sondaggi, a poco più di un mese dal voto, solo i partiti maggiori possono dormire sonni tranquilli.
Come poteva essere altrimenti? D’altronde, le elezioni del 2009 lo hanno evidenziato in maniera inequivocabile: lo sbarramento si è tradotto in “meno commensali” a spartirsi i 73 seggi che spettano all’Italia, decurtati a partire dal 2009 di cinque unità – in forza dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Quindi più posti per accontentare le litigiose correnti dei partiti maggiori, a scapito di formazioni minori che – ad esempio – nel caso del cartello elettorale Rifondazione-Comunisti Italiani alle ultime europee raccolsero oltre un milione di voti rimanendo però fuori da Strasburgo. L’argomento più gettonato a sostegno dello sbarramento per le elezioni nazionali è che l’impiego di una soglia si renda necessaria per impedire i “ricatti delle minoranze”.
Va bene, si può discutere sulla filosofia alla base dell’esclusione di una forza politica, comunque rappresentativa (già mezzo milione di voti non sarebbero affatto pochi, soprattutto con le percentuali di astensionismo di oggi), ma cosa c’entrano le europee con la governabilità? Nel 2009, la soglia di sbarramento venne introdotta a poche settimane dal voto grazie ad un blitz dell’ultimo minuto analogo a quello che 5 anni prima aveva introdotto il Porcellum: ma questa volta non fu un colpo di mano della maggioranza berlusconiana ma una vera e propria “prova tecnica” di intesa bipartisan, sugellata da baci ed abbracci tra Veltroni e Verdini. L’ex segretario del Pd lanciò anche una frecciata a D’Alema, contrario all’introduzione della soglia: “Mi chiedo come si fa a sostenere l’articolo 49 della Costituzione e poi sostenere il modello elettorale tedesco, che prevede una soglia di sbarramento del 5%. Delle due l’una”.
Allora Veltroni non avrebbe mai potuto immaginare che per le europee del 2014, il modello tedesco sarebbe stato un proporzionale puro (quindi senza soglia) e che il socialista Nencini, che nel 2009 aveva animato un’accesa protesta contro lo sbarramento, 4 anni dopo sarebbe rientrato in parlamento traghettando il Psi nelle liste del Pd. Ecco, nella logica della semplificazione del quadro politico, altra oscura formula in politichese stretto, i partiti maggiori finiscono per decidere chi sia più (o meno) meritevole di entrare in parlamento, inserendone dei candidati nelle proprie liste oppure utilizzando le formule magiche del Porcellum che hanno consentito al Centro Democratico di Bruno Tabacci di eleggere con con appena lo 0,49% ben 6 deputati (mentre Rivoluzione Civile di Ingroia con il 2,25% è rimasta fuori dal Parlamento).
Cosi lo sbarramento diventa una sorta di “selezione all’ingresso” operata dai partiti maggiori per tagliare artificialmente alcune istanze politiche e non, come sosteneva Giorgio Napolitano nel 2009, un sistema per ridurre la “frammentazione”; già con 14 gruppi parlamentari presenti a Montecitorio sarebbe difficile cogliere gli effetti benefici della semplificazione prodotta da sbarramenti e premi di maggioranza ma nel caso di Strasburgo, la soglia del 4% finisce per essere nient’altro che un cinico escamotage dei partiti più grandi per garantirsi qualche poltrona in più.