Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria, ha dolori acuti. Intorno la ‘ndrangheta non scherza. Usa il porto della città, enorme e silenzioso. La cocaina passa da lì. Arriva dall’altra sponda dell’Atlantico e la smerciano ovunque, sopra il nord padano di Expo e di Infinito.
La piana che da Gioia Tauro giunge a Palmi e Rosarno è l’emblema della Calabria, in cui tanta economia è diretta da cosche armate, a volte sotto una borghesia più rapace.
A Gioia Tauro puoi incontrare il corteo di un morto ammazzato o vedere i negozi chiusi per lutto cittadino da massacro. Nei pressi, dopo lo svincolo autostradale, uccisero Francesco Maria Inzitari, ragazzo con la colpa di un padre, politico, già condannato per associazione mafiosa.
Gioia Tauro è un segreto quotidiano. È una specie di conurbazione pattumiera: con centrale turbogas e a biomasse, depuratore colossale, due discariche e il filo continuo di un elettrodotto. Il grande capitale vorrebbe aggiungere un rigassificatore e, non lontano, una centrale a carbone. Melius abundare, in nome di un progresso che renda inquinamento per molti e profitto per pochi. Gioia Tauro fu commissariata per infiltrazioni, come nella tradizione di questa terra colonizzata da secoli, che pure nel 2014 obbliga a una fuga collettiva chiamata emigrazione, ignorata nei palazzi e in tv.
In questo mondo a sé, a Gioia Tauro, il sindaco Renato Bellofiore ha compiuto miracoli. Eppure, nel 2010 ereditò un bilancio comunale distrutto, figlio di un assistenzialismo clientelare e di un vecchio odio per lo Stato prodotto dal sistema dei partiti.
Di provenienza civica, oggi nel Pd, Bellofiore – scrisse in un bellissimo reportage Cesare Fiumi – trovò una partecipazione ai tributi municipali pari al 6%, che presto riuscì a innalzare al 30%; perfino staccando allacci d’acqua abusivi a uomini d’onore. Con i suoi, il sindaco s’impegnò ad attuare forme concrete di partecipazione democratica. Poi affidò la raccolta rifiuti a personale del municipio e avviò lavori pubblici con l’aggiudicazione delle gare in diretta web.
Ancora, Bellofiore recuperò con poca spesa un museo sul passato magnogreco di Gioia Tauro. Così ricordò che questo Sud, oggi pieno di segni della ‘ndrangheta, aveva una grande storia. Inoltre rimarcò che la cultura può battere l’ignoranza e la rassegnazione imposte dalle ‘ndrine. Lo fece con il suo vice Jacopo Rizzo, già compagno della battaglia civile per l’ospedale unico della Piana di Gioia Tauro, vicenda caratterizzata dalla difesa della volontà popolare contro imposizioni della Regione Calabria e oggi sotto la lente della magistratura.
Ieri, 10 aprile, Bellofiore si è dimesso per non subire l’aut aut di due consiglieri di maggioranza, Domenico Cento e Domenico Savastano, che avevano proposto un emendamento, nell’ambito del bilancio di previsione, per decine di assunzioni nella raccolta differenziata.
Il gesto è forte ed è significativo, non soltanto per Gioia Tauro. L’emendamento di Cento e Savastano – ha riferito Bellofiore – aveva il parere negativo di quattro settori comunali e dei revisori dei conti, col pericolo di tradursi in danno erariale e di creare il terreno per eventuali appetiti criminali, prevedendo un’esternalizzazione del servizio rifiuti.
La scelta di Bellofiore è un segnale di ferma coerenza, che lancia un messaggio morale a tutta la politica nazionale. Specie a quella che ricostruisce maggioranze con acquisti impropri, trasformismo, manovre di vertice e vilipendio della democrazia.