È morta per le complicazioni avute dopo aver preso la Ru486, ma le cause precise sono ancora da capire. Una donna di 37 anni, madre di un bambino di sei, maestra precaria, è deceduta all’ospedale Martini di Torino. In Italia è il primo caso di morte seguita all’uso della pillola abortiva. Dopo la segnalazione della direzione ospedaliera la procura ha aperto un’indagine e la prossima settimana ci sarà l’autopsia. Due giorni prima (lunedì 7 aprile) la donna era andata al Martini per sottoporsi all’interruzione volontaria della gravidanza. Dopo il ricovero i medici le avevano somministrato il mifepristone, cioè la Ru486, la pillola abortiva. Lei ha deciso di non fermarsi nel posto letto riservato a chi si sottopone all’Ivg, è rientrata a casa e poi mercoledì 9 è tornata all’ospedale per un controllo. I ginecologi le hanno dato il gemeprost per favorire l’espulsione dell’embrione, lei ha sentito del dolore che è stato sedato con un antidolorofico. Poi a mezzogiorno i sanitari hanno fatto un’ecografia uterina che ha dato un esito positivo. Tuttavia intorno alle 12.20 sono cominciate le complicazioni. La 37enne ha avuto una dispnea, delle difficoltà respiratorie ed è svenuta. “Il ginecologo ha subito incanulato una vena e ha idratato il paziente, poi ha chiamato un anestesista”, ha spiegato il primario del reparto di ostetricia e ginecologia Flavio Carnino. In seguito sono intervenuti anche altri specialisti, dei cardiologi e degli internisti. La donna ha avuto ben dieci arresti cardiaci e l’uso del defibrillatore è stato inutile. È morta alle 22.45.
Dai controlli di routine fatti prima della somministrazione della Ru486 non erano comparsi segnali di patologie che avrebbero potuto compromettere la salute della donna, che però era quasi alla settima settimana di gravidanza, un fattore a rischio. Dall’ecografia toracica è apparso che l’atrio destro del cuore era dilatato e questo elemento, unito alle difficoltà respiratorie e ai dolori toracici, porterebbe gli anestesisti ad ipotizzare un’embolia polmonare. La direzione dell’ospedale Martini ha chiesto ai medici una relazione, inviata poi alla procura. Il fascicolo è stato consegnato al sostituto procuratore Gianfranco Colace che ha disposto un’autopsia per accertare le cause. “Dire che siamo costernati è dir poco. Siamo vicini alla famiglia della donna – ha affermato il direttore sanitario Paolo Simone -. Non vogliamo entrare in polemiche politiche o ideologiche sul farmaco, noi siamo dei tecnici che si attengono alle leggi”. Stando ai medici, nel 2013 all’Ospedale Martini sessanta donne hanno abortito usando la Ru486 e nessuna di loro ha avuto complicazioni. Negli Stati Uniti, dove la pillola abortiva è usata da più tempo, ci sono stati circa dieci casi di decessi non immediati e provocati da un batterio, il clostridium sordellii.
Il “padre della pillola abortiva”, il ginecologo (e presidente dei Radicali) Silvio Viale, che dirige il principale servizio italiano per Ivg all’Ospedale Sant’Anna di Torino, respinge “ogni strumentalizzazione” sull’episodio e osserva come sono “decine di milioni le donne che hanno assunto la Ru486 nel mondo” e “40mila in Italia”. Secondo lui “l’episodio ricorda la prima e unica morte in Francia nel 1991, agli inizi del suo uso, che indusse a modificare il tipo di prostaglandina per tutti gli interventi abortivi introducendo il misoprostolo (Cytotec) – ha spiegato -. Sono gli altri farmaci, gli stessi che si impiegano per le Ivg chirurgiche, i maggiori sospettati di un nesso con le complicazioni cardiache. Sarà l’autopsia a capire le cause, ma sin da ora posso affermare che non vi è alcun nesso teorico di causalità con il mifepristone (RU486), perché non ci sono i presupposti farmacologici e clinici”.