Nel piccolo centro della Locride, commissariato da dieci mesi dopo le dimissioni del sindaco antimafia Maria Carmela Lanzetta (oggi ministro) e sommerso da 10 milioni di debiti, il Pd è diviso. E non riesce a sciogliere le riserve sul nome dello sfidante di Cesare De Leo
Le casse del comune in dissesto, i resti di un tempio dorico in balia della furia del mare, un’economia depressa e una comunità spaccata e in disaccordo su tutto. Di sfide da raccogliere a Monasterace ce ne sarebbero abbastanza per scoraggiare chiunque dall’ambizione di fare il sindaco. Poco più di 3mila anime, un passato remoto da florida polis magno greca e uno più prossimo fatto di promesse non mantenute e opportunità sfumate, Monasterace si affaccia su un mare blu cobalto. Una risorsa inestimabile che potrebbe rappresentare la sua opportunità di riscatto, assieme alle vestigia dell’antica Kaulon, e troppo spesso invece finisce con l’essere il suo flagello. Negli ultimi anni il piccolo centro della Locride è finito sotto i riflettori suo malgrado per diverse ragioni: dagli atti intimidatori subiti dall’allora sindaco Maria Carmela Lanzetta, oggi ministro per gli Affari Regionali, e dai membri della sua giunta, alle scoperte (come quella del più grande mosaico ellenico finora noto) che hanno entusiasmato l’ex titolare dei Beni culturali Massimo Bray), passando per gli sbarchi di migranti e le notizie di cronaca nera e giudiziaria legate alle attività della cosca Ruga-Metastasio-Loiero.
Eppure, dopo dieci mesi di gestione commissariale, il 25 maggio due (forse tre) candidati di centrosinistra si sfideranno per ottenere la fascia da primo cittadino, accollandosi l’onere di far ripartire il piccolo centro sulla costa ionica reggina e restituirgli la speranza. Nemmeno in un centro così piccolo il Partito Democratico riesce a essere unito: all’iniziativa personale del renziano della prima ora Cesare De Leo, già sindaco per 15 anni a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 e sfidante della Lanzetta alle amministrative del 2011, opporrà un altro nome sul quale al momento non riesce a sciogliere le riserve. Chiunque uscirà vincitore partirà con un handicap immane, perché dall’aprile 2013 il Comune è in dissesto economico finanziario per cifre che appaiono sproporzionate, se si considerano le piccole dimensioni del centro ionico. L’organo straordinario di liquidazione, chiamato a gestire il dissesto, ha verificato debiti ammissibili per oltre 10 milioni di euro, di cui circa la metà (4.654.462,73 euro) sono residui attivi, ovvero tributi ed entrate exratributarie mai riscosse, al 31 dicembre 2012.
Ovviamente le responsabilità della situazione vanno attribuite a tutte le amministrazioni che si sono succedute alla guida del paesino negli ultimi quarant’anni, e che a furia di spese inutili, di improvvidi ed esosi espropri e di un’endemica incapacità nella riscossione dei tributi non hanno saputo tenere i conti in ordine. Esempio lampante i 3,1 milioni di euro di debiti accumulati nei confronti della Cassa del Mezzogiorno dal 1981 al 2004 per la mancata riscossione delle imposte sull’acqua. La situazione ha poi assunto connotati spaventosi durante l’amministrazione Lanzetta che, in 7 anni ha visto lievitare notevolmente i debiti nei confronti degli enti creditori e gestori di servizi. Così i 550 mila euro che il comune doveva alla So.Ri.Cal. spa (la società a capitale misto pubblico-privato per la gestione dell’acqua a uso potabile sul territorio regionale) al momento del suo insediamento sono diventati 2,5 milioni a fine 2012. Allo stesso modo è raddoppiato, da 230mila euro a 450mila, il debito accumulato nei confronti di Locride Ambiente per lo smaltimento dei rifiuti, un passivo che ha contribuito nell’estate del 2011 allo scoppio di una vera e propria emergenza, con le strade del paese invase da roghi di immondizia.
Ma le difficoltà nell’amministrare realtà come quella di Monasterace non sono solo di carattere economico. Lo spettro della contiguità con ambienti e personaggi riconducibili alle ‘ndrine locali è sempre dietro l’angolo e smarcarsi da amicizie, conoscenze e talvolta parentele ingombranti sembra quasi impossibile, anche quando si è realmente puliti. Il 27 ottobre 2003, il consiglio comunale fu sciolto per infiltrazioni mafiose, e la giunta guidata da Giuseppe Bonazza fu mandata a casa, salvo poi essere rimessa in sella con tante scuse in seguito all’annullamento dello scioglimento da parte del Tar del Lazio. Quello dell’amministrazione Bonazza non è un caso isolato: tutti i sindaci di Monasterace degli ultimi quarant’anni, a eccezione di Lanzetta, hanno subito l’onta della carcerazione preventiva perché coinvolti in inchieste della Dia di Reggio Calabria. Tutti sono però stati prosciolti. Chiunque avrà il compito di amministrare Monasterace dovrà anche ricucire il tessuto sociale sgretolato di un paese in cui si è sempre “contro” qualcuno. Non è un caso se nella storia sono coesistite in un comune così piccolo due squadre di calcio, due squadre di pallavolo, due Pro loco e per un breve periodo persino due bande musicali.