Il tasso di occupazione femminile in Italia è di dieci punti sotto la media europea. Il fenomeno non è solo un retaggio di altri tempi e riguarda tutte le Regioni, anche le più sviluppate. Un sostegno al lavoro femminile può arrivare sostituendo la detrazione per il coniuge con un trasferimento.
Carlo Fiorio* e Marco Leonardi** (lavoce.info)
Donne che rinunciano al lavoro
La settimana scorsa, Christine Lagarde, direttore del Fondo monetario internazionale, ha ricordato che l’Italia fa molto poco per l’occupazione femminile. Il tasso di occupazione delle donne in età compresa fra i 16 e i 64 anni è del 47 per cento, più di 10 punti sotto la media europea. Non è solo una questione “storica” o “culturale” contro cui ci sarebbe poco da fare: non si tratta solo di donne di una certa età che non hanno mai lavorato e certamente non si mettono a farlo ora. Anche tra le donne giovani, nonostante siano più istruite dei loro coetanei maschi, il tasso di occupazione è inferiore alla media europea. E accade non solo nelle regioni del Sud: anche in zone relativamente ricche e sviluppate come l’Emilia Romagna o la Lombardia, il tasso di occupazione femminile resta più basso rispetto alle aree con cui queste regioni dovrebbero confrontarsi. Il fatto più preoccupante è che quasi una donna su due non torna al lavoro dopo il parto.
C’è chiaramente qualcosa che non va nella struttura del welfare italiano, proprio ora che invece l’occupazione femminile sarebbe un’arma importante per aumentare la crescita. La crisi ha infatti messo in dubbio il modello del capofamiglia occupato e della moglie casalinga e il tasso di partecipazione femminile è aumentato in questi ultimi due anni: più donne cercano lavoro (e un lavoro a tempo pieno) per supplire alla mancanza di lavoro dei mariti.
La legge delega sul lavoro appena presentata in Parlamento prevede numerosi interventi di sostegno alla maternità e per la conciliazione tra famiglia e lavoro. Nuove regole sull’organizzazione del lavoro o sugli orari di apertura degli uffici pubblici, degli asili e delle scuole sarebbero a costo zero. Altre misure, come nuovi asili e congedi parentali, sarebbero onerose per la finanza pubblica.
La via maestra del sostegno al lavoro femminile, tuttavia, passa per la revisione della tassazione. (1)
Un trasferimento per le lavoratrici
Oggi il fisco italiano prevede la detrazione per il coniuge a carico. Il costo totale per l’erario è di oltre 3,5 miliardi di euro, ma l’impatto sui redditi delle famiglie italiane rimane limitato dal momento che il beneficio medio a famiglia è di poco più di 100 euro l’anno, con un numero rilevante di famiglie che ne usufruiscono pur avendo livelli di reddito significativamente maggiori della media (si veda figura 1 e la tabella 1 in cui mettiamo i valori medi in euro del reddito complessivo e disponibile medio per decile).
Figura 1 – A chi vanno le detrazioni per coniuge a carico
Tabella 1 – Redditi complessivi e disponibili per decili di reddito
Per incentivare l’occupazione femminile, sulla scia di analoghi schemi utilizzati da decenni in diversi paesi, proponiamo l’eliminazione delle detrazioni per coniuge a carico e l’attribuzione di un trasferimento, a parità di costo per l’erario, assegnato a chi soddisfa le seguenti caratteristiche:
1. donne con almeno un figlio minorenne;
2. reddito familiare complessivo inferiore a 20mila euro;
3. occupate per almeno 16 ore a settimana o, se autonome, con un reddito dichiarato di almeno 350 euro al mese;
4. per lavoratrici dipendenti e autonome.
Il trasferimento è un assegno per la famiglia, a prescindere dall’ammontare delle imposte da pagare. Sulla base dei dati 2012, utilizzando il modello di microsimulazione Euromod, a parità di donne occupate, il trasferimento andrebbe a circa 2,3 milioni di famiglie per un valore di 1.670 euro netti all’anno.
Abbiamo anche stimato cosa succederebbe se il vincolo di reddito familiare salisse a 30mila euro annui. In questo caso, mantenendo la neutralità di gettito, il trasferimento si ridurrebbe a poco meno di 900 euro netti l’anno, a vantaggio di 4,1 milioni di famiglie (si veda la tabella 1 per le simulazioni delle due possibili alternative).
La somma costituisce un incentivo all’occupazione e un aiuto per le madri poiché è corrisposto solo nei casi in cui la donna con figli minori abbia un contratto di lavoro dipendente per almeno 16 ore settimanali. Costituisce altresì un incentivo all’emersione perché le lavoratrici autonome devono dichiarare almeno un reddito pari a 350 euro al mese per avere diritto al trasferimento.
Le questioni aperte
La proposta, che qui abbiamo delineato e di cui abbiamo brevemente presentato alcune simulazioni, è ampiamente perfettibile, da diversi punti di vista. Ne sottolineiamo solo alcuni.
La proposta è volutamente molto semplificata. Non abbiamo in alcun modo considerato scale di equivalenza per tenere conto delle dimensioni familiari, e preservare una qualche uguaglianza orizzontale tra le famiglie.
Una questione riguarda se lasciare il trasferimento in somma fissa o se prevedere una sua riduzione all’aumentare del reddito familiare o delle ore lavorate. Sicuramente non ci pare opportuno definire il contributo decrescente all’aumentare del reddito per non ingarbugliare ulteriormente la già complicata struttura di aliquote effettive Irpef. Invece, il sussidio potrebbe essere reso decrescente al numero delle ore lavorate oltre una determinata soglia (da noi qui fissata a 16 ore), in modo che incida maggiormente sul margine estensivo dell’offerta di lavoro (decidere se entrare o rimanere fuori dal mercato del lavoro).
Non abbiamo qui considerato possibili effetti sull’elasticità dell’offerta di lavoro. È assai probabile che una politica di questo tipo abbia effetti comportamentali, rendendo imprecise le nostre stime di costo.
Attribuire il contributo anche alle lavoratrici autonome, riducendo di conseguenza il sussidio medio alle lavoratrici dipendenti di circa 200-300 euro all’anno, potrebbe aumentare notevolmente i comportamenti opportunistici. In questo caso, si dovrebbe prevedere, con l’accesso al sussidio, la scelta volontaria di adottare provvedimenti atti a ridurre la discrezionalità del lavoratore autonomo di dichiarare il proprio reddito imponibile.
Tabella 2 – Analisi delle simulazioni
*Carlo Fiorio è ricercatore in Scienza delle Finanze presso l’Università di Milano, Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali e Statistiche. Ha conseguito il Master in Econometrics and Mathematical Economics e il PhD in Economics presso la London School of Economics. Ha insegnato presso la London School of Economics, l’università di Bologna e l’Università Bocconi, dove collabora alle attività di Econpubblica, Centro di Ricerca sul Settore Pubblico. I suoi principali interessi di ricerca vertono in temi di tassazione, distribuzione del reddito, econometria applicata, economia del lavoro.
**E’ Professore associato presso il Dipartimento di Studi del Lavoro alla facoltà di Scienze Politiche dell’ Università degli Studi di Milano. Insegna economia politica alla facoltà di Scienze Politiche e economia del lavoro al Dottorato in Economia e al Master Europeo di Scienze del Lavoro dell’ Universita’ Statale di Milano. Phd. in economia alla London School of Economics, è stato visiting scholar presso il Massachussetts Institute of Technology di Boston e l’Università di Berkeley. I suoi principali interessi scientifici riguardano l’economia del lavoro e in particolare temi legati a disoccupazione, disuguaglianza e redistribuzione.
(1) Sull’argomento si rimanda alla discussione già affrontata su questo sito.