Giorgio Galli è probabilmente il più profondo fra i politologi del nostro Paese. Uno fra i pochi a saper pensare in prospettiva storica e al tempo stesso planetaria, invece di limitarsi, come altri, a cincischiare banalità d’occasione sulle riforme costituzionali, sulla competitività da riconquistare e baggianate del genere.
Galli, su Linus di questo mese, dopo aver compiuto una lunga panoramica su alcuni episodi di lotta politica del recente passato, dall’Ucraina al Venezuela, dal Salvador alla Francia, auspica un condivisibile “salto culturale e decisionale” che dovrebbe concretizzarsi in una “coalizione mediterranea che si imponga a Bruxelles, non pensando a un’impossibile crescita basata sulla vecchia triade cementificazione-automobile-elettrodomestici, ma su un progetto complessivo, nazionale, ma a gestione locale, per risanare e mettere in sicurezza ambiente e territorio”. Quindi conclude che “le votazioni hanno peso quando si collocano in un contesto sociale che le valorizzi. Vincerle non è servito a Yanukovic, se poi esplode la piazza di Kiev e si è arrivati al voto per il ritorno della Crimea alla Russia. il voto è la tarda rivincita dei guerriglieri latinoamericani, contro la quale la destra mobilita la piazza. Le elezioni non bastano a risolvere i problemi italiani, senza il salto culturale e decisionale di cui si è detto. E forse alla piazza dovrebbe tornare a pensare la sinistra, pensando che non ne ha il monopolio naturale e che altri la potrebbero utilizzare, non per favorire, ma per ostacolare un cambiamento positivo”.
Pensieri acuti e che vanno meditati. Io faccio due modeste notazioni a margine.
Primo, e lo scrive anche Galli, non sarà certo il governo Renzi ad essere capace di operare quel necessario salto culturale e decisionale. Renzi infatti si spende tutto sul piano della propaganda più o meno demagogica di breve respiro. Una mancetta (ripresa con l’altra mano con gli interessi) di qua, l’abolizione del Senato di là per far vedere che si vogliono ridurre i costi della politica di là, la precarizzazione selvaggia degli impieghi per compiacere le imprese meno avvedute sullo sfondo. Assenza totale di un progetto strategico per lo sviluppo. Ma tanto fumo negli occhi per vincere, grazie alla legge elettorale antidemocratica che si vorrebbe imporre, le elezioni e varare un regime che si vorrebbe longevo ma durerà, penso, assai poco.
Secondo, occorre riprendersi la piazza, ma come? Sono reduce dalla manifestazione di ieri, che ha visto la partecipazione di decine di migliaia di persone vittime della crisi e delle politiche (o non politiche) governative, dal movimento di lotta per la casa, ai precari, dai NoTav e NoMuos, ecc. Una manifestazione che si è purtroppo conclusa con brutti incidenti di cui si poteva fare a meno. Un copione già visto e che risulta noioso e controproducente per tutti, a cominciare da coloro, sia manifestanti che poliziotti, che sono rimasti feriti.
Precarietà, povertà, impossibilità di soddisfare i bisogni più elementari stanno dilagando. Il governo non solo non fa nulla per contenere questi fenomeni ma anzi li alimenta con le sue politiche scellerate. La rabbia sociale va montando ma va incanalata nella giusta direzione. La piazza che conta è quella che riesce a dialogare con il Paese mobilitando, com’è avvenuto in Grecia, Spagna e Portogallo, centinaia di migliaia di persone. Come non mi stancherò mai di ripetere non servono le pantomime dello scontro che assumono come controparte le forze dell’ordine. Bisogna, tra l’altro, cominciare a ragionare sul fatto che queste sono fatte da persone come noi, che subiscono anch’esse l’impatto negativo della crisi. Serve invece un movimento capillare ed organizzato che punti all’occupazione degli spazi e alla soddisfazione dei bisogni, come del resto di fatto sta avvenendo. Ma in modo sempre più determinato. Individuando e punendo, con la forza della sanzione sociale e normativa organizzata, i veri responsabili dello stato deplorevole in cui versa il nostro Paese e ponendo le premesse per la sua rinascita, che può avvenire solo chiudendo per sempre i conti con i politici, imprenditori, dirigenti e finanzieri corrotti che continuano a esercitare il potere reale, lasciando che manifestanti e poliziotti se le diano di santa ragione fra di loro. Del tutto inutilmente. Una specie di sport deteriore che brucia energie che potrebbero essere impiegate in modo ben più fecondo e dannoso per il sistema. Costruendo, nelle piazze e nel Paese, quella democrazia partecipata che sempre più pare la sola possibile alternativa allo sfascio e ai regimi autoritari o plebiscitari.