Michele Mevio, 28 anni di Pavia, ha lasciato l'università per il mondo del food. Si è trasferito a Dublino e a Liverpool per fare il cameriere e oggi lavora a Sidney. "Qui vedo troppi italiani che si improvvisano: arrivano con un inglese scolastico e chiaramente si trovano male"
Vini e buon cibo, il connubio perfetto per chi voglia esportare il Made in Italy nel mondo. Un giovane ragazzo di Pavia l’ha capito. E ha avuto fortuna. Si chiama Michele Mevio, ha 28 anni, e di fronte all’impossibilità di trovare lavoro in Italia ha lasciato l’università e si è buttato sul mondo del food. Prima, con suo fratello maggiore Niccolò, ha seguito un po’ per gioco il corso in tre fasi per diventare sommelier professionista. Poi la cosa si è fatta seria, e si è trasferito a Dublino e a Liverpool per fare il cameriere. Infine, una volta tornato in Italia, ha deciso di iscriversi alla scuola di cucina più prestigiosa d’Italia: Alma. Quella del grande chef Gualtiero Marchesi. Adesso, dopo una lunga gavetta, vive in Australia dove guadagna uno stipendio più che dignitoso per seguire la sua passione.
“Mi sono trasferito qui a gennaio, dopo aver lavorato a Macerata in un ristorante con una stella Michelin. Prima ancora avevo lavorato nella mia città, Pavia, dove ho incontrato il mio primo maestro – spiega -. Dopo queste esperienze in Italia sono stato contattato da diversi ristoranti di alto livello, che però pretendevano di pagarmi pochissimo o di non retribuirmi affatto. Così sono andato via”. Valigia in mano è volato alla volta di Sydney, dove adesso vive con altri italiani e continua a far crescere il suo curriculum. “Fino a pochi giorni fa ho lavorato al Gpo, che è un ristorante in pieno centro. Adesso sto facendo vari colloqui perché mi stanno offrendo di più e voglio capire dove sia più giusto andare per migliorare la mia crescita professionale – prosegue -. Cominciare qui non è stato difficile. Gli chef italiani sono sempre ben accetti, l’importante è saper parlare abbastanza bene in inglese”.
Non sono tutte rose e fiori, però. “All’inizio è stata dura. E’ sempre difficile vivere all’estero da soli, farsi accettare, imparare perfettamente una lingua straniera. Ma l’Australia è un Paese ospitale per noi italiani, solo a Sydney ce ne sono circa 80mila, per la maggior parte giovani – prosegue -. Qui c’è uno stile di vita molto rilassato, e poi un’idea diversa del lavoro che si traduce in un maggior rispetto”. Per questo Michele non ha dubbi: consiglia ad altri giovani come lui di farsi coraggio e partire. “Consiglio un’esperienza del genere a tutti – conferma -. Ti cambia la vita, perché ti aiuta a farti le ossa. Ma non è necessario andare così lontano, basta fare un po’ di gavetta in un Paese estero europeo. Qui in Australia le cose stanno cambiando, il lavoro sta diminuendo al punto che il governo sta pensando di bloccare i visti. Ma una cosa la voglio sottolineare: non ci si può improvvisare. Sapere almeno l’inglese è fondamentale. Vedo tanti, troppi, italiani che vengono qui sapendo a malapena un inglese scolastico. E che quindi si trovano male”.
Nonostante la buona esperienza, però, Michele un sogno nel cassetto ce l’ha: tornare in Italia, per lavorare – e guadagnare – a buoni livelli. “Inutile dire che il mio Paese mi manca tantissimo. Sono legatissimo alla mia città e alla mia famiglia. Non ho neanche visto nascere il mio primo nipotino – dice Michele -. Ma fa parte del gioco. A chi mi chiede se tornerei rispondo: certo. Non mi interessa lo stipendio alto, voglio tornare in Italia. Ma per lavorare bene”. I contatti già ci sono. Ma per ora Michele si limita a incrociare le dita. E a tenere alto il Made in Italy in Australia.