L’email parte dal computer di Ruggero Magnoni alle 15:39 di giovedì 2 febbraio 2012, diretta al direttore generale del Monte dei Paschi Fabrizio Viola. Il capo italiano della banca Nomura gli propone un nuovo possibile azionista forte. Un’operazione costruita intorno alla figura dell’ingegner Carlo De Benedetti. Personaggi e contesto insegnano molto su passato e presente del disastro Mps. Una cosa su tutte, che vale per tutte le banche italiane: mettere un piede nel controllo di una banca oggi non promette guadagni, ma può servire lo stesso. Viola si è da pochi giorni insediato a Rocca Salimbeni, piazzato a furor di Bankitalia al posto di Antonio Vigni. Giuseppe Mussari è ancora presidente, Alessandro Profumo non è stato ancora convinto da Massimo D’Alema a subentrare. Il ribaltone è così fresco che il finanziere Davide Serra, accanito supporter delle rottamazioni renziane, scivola su una memorabile gaffe: fa arrivare l’invito a Vigni per un weekend nel suo chalet di Chamonix (“to relax and brainstorm on world economy”), e tocca alla segretaria di Viola comunicargli che Vigni non c’è più. Serra, imperturbabile, estende l’invito al nuovo manager. Evidentemente, per brainstormarsi sulle sorti dell’economia mondiale, un direttore del Montepaschi vale l’altro.
Magnoni rappresenta un pezzo di storia della finanza italiana. Figlio di Giuliano (socio e consuocero di Michele Sindona), molto legato sia a Carlo De Benedetti che a Silvio Berlusconi, ha progettato con Roberto Colaninno l’operazione Telecom, “madre di tutte le scalate”. Dopo il crac della Lehman Brothers, in cui ha perso 25 milioni di euro rimanendo ricchissimo, è passato alla Nomura. Qui ha confezionato per Mussari la famosa operazione Alexandria, i derivati per i quali l’ex presidente è a processo con Vigni, mentre Viola ha chiesto a Nomura 700 milioni di danni.
Il dossier Alexandria è all’attenzione di Viola dalle prime ore del suo mandato. Chiede spiegazioni a Magnoni, che dà subito la colpa a Mussari spiegando da par suo la famosa telefonata in inglese con cui l’avvocato di Catanzaro mise nei guai Mps e se stesso: “Io non volevo fare il deal e avevo chiesto che non io ma il nostro capo Europa chiedesse direttamente a Mussari al telefono assicurazioni sulla disclosure agli auditors , al consiglio e a Banca d’Italia (…) Tutto è stato fatto bene”. Ma il vero assillo di Magnoni, in quei primi giorni di febbraio 2012, è il salvataggio della Sopaf – la finanziaria controllata da suo fratello Giorgio – a cui anche Ruggero partecipa. Così chiede al nuovo capo di Mps di partecipare a una indifferibile ricapitalizzazione con non meno di 100 milioni di capitali freschi. Viola però ha già capito che il Monte non ha più nemmeno gli occhi per piangere e lascerà cadere. Ed ecco che Magnoni, nella stessa mail, allunga a Viola una soluzione per l’assetto azionario di Mps. La Fondazione, che detiene il 51 per cento, nel 2011 si è follemente indebitata per sottoscrivere la sua parte di aumento di capitale, e le banche creditrici, capitanate da Mediobanca e Jp Morgan, premono perché venda subito il 15 per cento del Monte. Magnoni punta a comprare uno strategico 5 per cento con un veicolo societario che diventerebbe il secondo azionista. Scrive a Viola il 2 febbraio 2012: “Caro Fabrizio, vedo Nagel (Alberto, numero uno di Mediobanca, ndr) oggi alle 17 per capire come si stanno muovendo sul blocco del 15%. Ti allego un draft di proposta finanziaria che Nomura metterebbe in piedi per alcuni investitori italiani raccolti in una Newco. Ho ricevuto una risposta interessante da Manes (KME) e da Carlo De Benedetti (M&C)”. Magnoni è socio di Enzo Manes nella finanziaria quotata Intek.
Il suo piano prevede l’acquisto del 5 per cento di Mps a 0,29 euro per azione, in tutto 187 milioni di cui 80 messi dagli azionisti e 107 prestati da Nomura. Le prospettive di guadagno sono rosee, fino all’87 per cento dell’investimento. Ma c’è un dubbio: “Nel caso Cdb, ci si domandava se il suo eventuale investimento potesse avere riflessi negativi sui crediti della banca a CIR/Sorgenia/ Espresso”. Già, il Cdb che diventerebbe azionista è anche un debitore. Mussari ha finanziato generosamente l’azienda elettrica Sorgenia, arrivando a un’esposizione di 1,2 miliardi nel 2010, circa due terzi del debito complessivo della società. Oggi che Sorgenia è in sostanziale default Mps è il primo creditore con 600 milioni di esposizione.
De Benedetti aveva buoni motivi per surrogare la Fondazione in un assetto azionario favorevole a Mussari. Nel 2007, pochi giorni prima dello sventurato acquisto di Antonveneta, Mps aveva comprato per 33 milioni l’1,2 per cento di Sorgenia, fissando il valore della giovane società elettrica a 2,7 miliardi di euro quando gli analisti la valutavano 1,5 miliardi. Un segno di amicizia tale che già allora De Benedetti fu costretto a smentire le voci che lo davano pronto a comprare azioni Mps.
Meno male per lui che non si è dissanguato con la banca che si stava dissanguando per lui. A febbraio 2012 l’offerta targata Nomura era di 13 volte inferiore al prezzo di quattro anni prima. Ma qualcosa è andato storto. Il titolo Mps miracolosamente risale in Borsa verso livelli mai più raggiunti. A fine febbraio il titolo raggiunge il prezzo di 0,42 centesimi. A comprare è la famiglia Aleotti (farmaceutici Menarini) che porta a casa il 4 per cento a 0,37 euro per azione e diventa il secondo azionista. Il 1 marzo 2012 De Benedetti fa sapere che il dossier Mps gli è stato proposto ma lui ha declinato. Alla domanda su che cosa abbia fatto saltare l’operazione, Magnoni ha opposto un cortese ma fermo no comment.
Da Il Fatto Quotidiano di mercoledì 9 aprile 2014