Case private trasformate in trattorie e avventori che per i proprietari sono perfetti sconosciuti. Di questi ritrovi si viene a sapere con il passaparola o attraverso i social network. Una tendenza al limite della clandestinità che ha conquistato molte città italiane, da Nord a Sud
Andare fuori a cena? Meglio farlo a casa di qualcuno. È la nuova moda nell’era dei social network e della crisi economica più grave dal Dopoguerra: due ingredienti che alimentano i supper club, oggi più popolari che mai. Una realtà nota e consolidata in Europa (Parigi, Londra, Amsterdam, Berlino) dove sono chiamati anche “hidden eatery”. Una moda iniziata intorno al 2006 a New York con i cosiddetti “guerrilla restaurant”, padri dei supper club.
Di cosa si tratta? Di case private trasformate in trattorie dove gli avventori per i proprietari sono perfetti sconosciuti, provvisti solo delle proprie bevande e di una quota di partecipazione in denaro. Senza scontrini e ai limiti della clandestinità: ma questo non frena i gestori, visto che da qualche tempo i supper club spopolano anche nel Bel Paese, da Nord a Sud. E la novità è proprio la diffusione dell’iniziativa soprattutto in Sicilia. “Amo la tavola come armonia di sapori, come momento di scambio e di comunicazione. Amo cucinare per i miei ospiti perché questo è, per me, un gesto d’amore”. Ecco lo spirito di un supper club nella descrizione sul sito di Piano Decimo, una delle case private che a Milano svolgono quest’attività e che chiede “solo donazioni”. Infatti, gran parte dei supper club non dichiara le cene come attività commerciale occasionale che – almeno in Italia – è un dovere per non cadere nell’illegalità. Infatti generalmente la location della cena è segreta e il pasto è per pochi intimi. Una delle case-ristoranti più note a Milano e a livello nazionale è il Ma’ Hidden Kitchen di Melissa e Lele, dove l’ospite troverà ben più di un pasto ma un’esperienza culturale. È questo uno dei motivi del successo dei supper club che conta sulla voglia del turista di assaggiare non solo un piatto ma uno spaccato della cultura reale del Paese che si sta visitando.
Anche a Palermo e in altre città siciliane si è recentemente diffusa la moda degli “hidden eatery”: il prezzo di una cena nel capoluogo siciliano varia dai 20 ai 40 euro. Ed è infatti 30 euro (bevande escluse) il prezzo medio di un posto a tavola a casa di uno sconosciuto. Nel capoluogo siciliano ormai di supper club se ne contano parecchi: un appartamento all’interno di un immobile d’epoca spagnola, dove vengono serviti piatti della tradizione gastronomica siciliana; un altro in via Alloro e un club nei pressi di via Roma; un altro ancora è a Mondello, in una villa liberty. Come trovarli? Benché le parole d’ordine per sedersi a tavola nei supper club siano convivialità ed informalità, in realtà le regole per accedere alla casa privata sono segretezza e passaparola, a causa del profilo di illegalità in cui versano gran parte dei supper club. Ma sui social – in particolare su Facebook e Twitter – è abbastanza facile trovare questo tipo di locali che spesso si presentano in “gruppi segreti”.
Ciò che colpisce è la ricerca del ritorno al contatto umano, dopo la sensibile diminuzione delle trattorie in tutto il Bel Paese: non ci si accontenta più di una gastronomia tradizionale ma ciò che si vuole veramente assaggiare è la cultura di un popolo. Peccato solo che in Italia queste iniziative si muovano spesso nell’illegalità: un boccone amaro per tutti i ristoratori tradizionali.