Descritto sulla rivista Nature Communications, il risultato è una prova di principio notevole per ottenere un esofago sintetico da trapiantare sull'uomo. Grande è la partecipazione italiana anche con Costantino Del Gaudio e Alessandra Bianco dell’università di Roma Tor Vergata e Domenico Ribatti dell’università di Bari
Si allunga la lista degli organi costruiti in laboratorio, con il primo esofago ‘coltivato’ a partire dalle cellule staminali e impiantato in un ratto. Ottenuto dal gruppo coordinato dall’italiano Paolo Macchiarini che lavora in Svezia al Karolinska Institutet, l’organo si è perfettamente integrato nell’organismo grazie alla rigenerazione di connessioni nervose, muscoli e vasi sanguigni. Descritto sulla rivista Nature Communications, il risultato è una prova di principio notevole per ottenere un esofago sintetico da trapiantare sull’uomo. Grande è la partecipazione italiana anche con Costantino Del Gaudio e Alessandra Bianco dell’università di Roma Tor Vergata e Domenico Ribatti dell’università di Bari.
Nonostante diversi tentativi, finora è stato difficile coltivare un esofago in provetta. Attualmente, per sostituire l’esofago danneggiato da cancro, traumi o malformazioni vengono usate porzioni di intestino o stomaco prelevate dallo stesso paziente ma raramente il risultato è soddisfacente. “Riteniamo che questi risultati molto promettenti rappresentino un importante passo verso il trasferimento nella clinica dell’esofago coltivato in laboratorio”, osserva Macchiarini.
I ricercatori hanno prelevato una sezione di esofago dai ratti, hanno rimosso tutte le cellule lasciando solo ‘l’impalcatura’ che conserva struttura e proprietà meccaniche e chimiche dell’organo. L’impalcatura è stata poi ‘riseminata’ con cellule staminali mesenchimali del midollo osseo. Dopo tre settimane le cellule aderenti all’impalcatura biologica hanno iniziato a mostrare le caratteristiche specifiche dell’organo. I tessuti coltivati sono stati usati per sostituire segmenti dell’esofago nei ratti. Tutti gli animali sono sopravvissuti e dopo due settimane dal trapianto sull’organo si sono formati vasi sanguigni, fibre muscolari e connessioni nervose. La tecnica infatti minimizza il rischio di reazione immunitaria e rigetto del trapianto ed elimina anche la necessità di farmaci immunosoppressivi.