“Il passo della ripresa potrebbe continuare a essere largamente insufficiente per riportare la nostra economia sui livelli pre-crisi”. Parole nette quelle pronunciate dal presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri, nel corso dell’audizione in Parlamento sul Documento di economia e finanza, considerando che nel medio termine “le differenze fra le previsioni indipendenti e quelle governative raggiungono il valore cumulato di un punto e mezzo per il Pil e di quasi 5 punti per gli investimenti”. Non solo.  ”Il passaggio a più favorevoli condizioni del ciclo economico non comporta un allentamento del vincolo di bilancio: il rispetto degli obiettivi europei e del dettato costituzionale richiede, al contrario, un ancora più stringente controllo sui saldi di finanza pubblica”. Quindi “i miglioramenti che, automaticamente, vengono trasmessi ai saldi da una crescita più robusta, da un recupero dei redditi, dal venir meno di esigenze emergenziali dal lato della spesa, non appaiono sufficienti ad assicurare il profilo richiesto dal patto europeo. Il ritorno della crescita allevia, ma non elimina lo sforzo fiscale”, ha aggiunto.

STRADA IMPERVIA E ANCORA LUNGA – Secondo i magistrati contabili, il Paese ha all’orizzonte “una strada impervia e ancora lunga da percorrere”. Anche perché la disoccupazione “che nel 2018 rispetto ad oggi potrà ridursi di 2,4 punti” nel confronto con i “valori pre-crisi rimarrebbe superiore di oltre 4 punti”. Quindi bisogna ”dare attuazione concreta ad interventi in grado di riattivare la crescita con rapidità ed efficacia rappresenta una necessità immediata per offrire risposte al Paese. Ed è una sfida che rischia di essere senza prove di appello”. 

Tuttavia “solo nel 2015 la nostra economia rientrerebbe nel limite rappresentativo di ‘normali’ condizioni recessive. La richiesta di derogare dal percorso di avvicinamento all’Obiettivo di Medio Termine fino al prossimo anno non sembra, dunque, inconciliabile con le indicazioni europee”. Ma gli obiettivi di stabilizzazione della finanza pubblica “devono essere perseguiti senza compromettere le prospettive di sviluppo del paese”. Anche perché “il corto-circuito fra rigore e crescita ha senza dubbio contributo ad approfondire oltre misura, nella nostra economia, le dimensioni del ‘vuoto di prodotto’ (output gap), un parametro decisivo, fra l’altro, proprio al fine di ripristinare un permanente equilibrio strutturale dei saldi di bilancio”. E in quest’ottica la revisione della spesa e il ridisegno delle strutture organizzative “non devono essere solo ispirati da esigenze di copertura finanziaria; essi devono basarsi su una chiara strategia di governo della spesa, in cui il ridisegno sia frutto di una nitida visione circa il profilo che si intende assegnare al sistema pubblico dei prossimi decenni”. 

LE STIME DISCORDANTI DELL’ISTAT- A fare i conti in tasca al governo Renzi ci ha pensato l’Istat second il quale lo sconto Irpef previsto dal Documento di economia e finanza, i cui dettagli saranno definiti in un decreto legge atteso per venerdì 18, lascerà nelle tasche delle famiglie italiane più povere 714 euro in più all’anno. Secondo l’istituto di statistica, gli sgravi varranno il 3,4% del reddito complessivo per il 20% della popolazione che guadagna meno. L’effetto positivo sarà invece di 796 euro per le famiglie del secondo “quinto” (lo scaglione subito sopra quello dei redditi più bassi), di 768 per il terzo e di 696 per il quarto. Lo sconto scenderà poi progressivamente al salire delle entrate del nucleo familiare, fino a ridursi allo 0,7%, pari a 451 euro, per i più ricchi. Si tratta comunque di valori medi: oltre i 55mila euro di reddito non ci sarà alcun beneficio. Le entrate fiscali, stando ai calcoli dell’Istat, si ridurranno di conseguenza di circa 11,3 miliardi.

L’istituto che ha parlato per bocca del presidente, Antonio Golini, rivede però al ribasso, rispetto alle previsioni del governo, l’impatto dell’intervento sul prodotto interno lordo: il Def auspicava che la maggiore disponibilità economica degli italiani, a partire dai meno abbienti, lo avrebbe fatto crescere dello 0,3 per cento. Golini, invece, ha comunicato che il rialzo sarà al massimo dello 0,2% e potrebbe limitarsi allo 0,1 al netto degli interventi di copertura delle maggiori spese e minori entrate.

SPENDING REVIEW INSUFFICIENTE DAL 2015 – E un’altra tegola arriva invece dal vicedirettore generale della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, anche lui audito in Parlamento sul Documento. “Nel 2015”, ha detto Signorini, “i risparmi di spesa indicati come valore massimo ottenibile dalla spending review (18 miliardi, ndr) non sarebbero sufficienti a conseguire gli obiettivi programmatici”. In pratica, secondo Signorini, se il taglio della spesa dovesse “finanziare lo sgravio dell’Irpef, evitare l’aumento di entrate e dare anche copertura agli esborsi connessi con programmi esistenti non inclusi nella legislazione vigente”, non basterebbe.

In generale, ha detto Signorini, il Def fissa obiettivi che “non si possono non condividere“, ma “è importante che l’azione riformatrice sia nei fatti incisiva e coerente con queste premesse”. Il Documento “propone azioni congiunte e simultanee: la riduzione del debito pubblico, il rilancio della crescita e un ritorno alla normalità dei flussi di credito, l’adozione di riforme strutturali che aumentino la produttività”. Ma tra il dire e il fare c’è un abisso, sembra ricordare l’istituto guidato da Ignazio Visco. Abisso colmabile solo con interventi rapidi e decisi.

ATTESE AMBIZIOSE DALLE PRIVATIZZAZIONI – Prendiamo i proventi che dovrebbero derivare dalle privatizzazioni: il target dello 0,7% del Pil indicato nel Def è “ambizioso”, secondo via Nazionale. Che ricorda: “Negli ultimi 10 anni gli importi da dismissioni mobiliari sono stati pari a 0,2 punti di Pil in media l’anno”. Raggiungere l’obiettivo, quindi, “richiede un rapido e preciso programma di dismissioni”. “Plausibili”, invece, le previsioni riguardo agli “effetti netti degli interventi programmati per la riduzione del cuneo fiscale (aumento delle detrazioni Irpef e riduzione dell’Irap) e delle voci di copertura (la revisione della tassazione sulle rendite finanziarie e interventi sulla spesa pubblica)”, ha continuato Signorini.

“L‘equilibrio finanziario pubblico non si deve perseguire, ovviamente, con strategie miopi“, ha detto poi il funzionario. “La possibilità di ridurre il peso del debito sul Pil non dipende solo da una gestione prudente delle finanze ma anche dalla capacità di crescita dell’economia”. E i due obiettivi “devono essere inscindibili”, anche perché “le procedure europee consentono alcuni margini di flessibilità che possono essere sfruttati in accordo con le autorità europee al patto di avere al tempo stesso una strategia di riforme credibili e una bussola certa per le decisioni di finanza pubblica”. In questa luce, “assicurare la sostenibilità del debito pubblico resta necessario”, ha proseguito. La crescita, invece, sarà indispensabile anche “per il progressivo riassorbimento della disoccupazione, specie della componente giovanile più colpita dalla crisi”. Il ruolo delle politiche economiche, in questa fase, deve essere quindi quello di “sostenere la fiducia di imprese e famiglie, proseguire nella realizzazione delle riforme” e consolidare “l’allentamento delle tensioni sul mercato del debito sovrano che riflette certo il miglioramento del clima di mercato relativo all’euro, della finanza pubblica e delle prospettive di crescita, ma anche sviluppi contingenti sui mercati globali”.

ATTESA PER LA BAD BANK DI SISTEMA –  Signorini ne ha poi approfittato per rilanciare il tema della bad bank di sistema che era stato surclassato prima dal cambio di governo e poi dalle nomine pubbliche. In particolare sull’ipotesi di istituire una scatola dove concentrare i crediti di difficile riscossione,  “rinvio a quanto detto dal Governatore: in presenza di una forte incidenza sui bilanci delle banche di crediti dubbi il modo di gestirli è molto importante”, ha detto per poi aggiungere che “abbiamo salutato con favore le iniziative in tal senso da parte di numerose banche, non vedremmo male iniziative di portata più generale”.

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