Il massimo riconoscimento giornalistico del mondo va ai cronisti che hanno rivelato gli abusi dello spionaggio dell’America di Barack Obama, grazie alle confessioni della talpa Edward Snowden. I venti membri della commissione hanno deciso nonostante le pressioni dell'amministrazione Usa e del Congresso
Lentamente, ma inesorabilmente, Edward Snowden, Glenn Greenwald e i giornalisti che hanno svelato la fitta trama di intercettazioni della National Security Agency stanno vincendo la battaglia più importante: quella dell’opinione pubblica e della storia. Il quotidiano inglese “The Guardian” e lo statunitense “Washington Post” hanno vinto il Premio Pulitzer 2014 per il “pubblico servizio”, che oltre a 10 mila dollari assegna anche l’ambitissima medaglia d’oro. “Inchieste autorevoli e approfondite,”, le definisce il comitato promotore del Pulitzer, “che hanno aiutato il pubblico a capire come le rivelazioni si collochino entro il quadro più vasto della sicurezza nazionale”.
A poco sono valse dunque le pressioni che l’amministrazione Obama e vasti settori del Congresso hanno esercitato sui venti membri del board del Pulitzer (amministrato dalla Columbia University). Insignire della più alta onorificenza del giornalismo americano i responsabili delle inchieste sulla NSA significa infatti disattendere la versione ufficiale che l’amministrazione e la politica americana hanno cercato di diffondere per mesi: e cioè che la “talpa” Edward Snowden sia un “traditore”, un criminale da perseguire sulla base dell’“Espionage Act”.
Il giudizio dei vertici del giornalismo USA è diametralmente opposto: chi ha collaborato con Snowden (e che, vale la pena ricordarlo, ha subito critiche pesantissime e in molti casi anche aperte minacce da parte dell’amministrazione Obama e del governo Cameron) merita il riconoscimento più alto che un giornalista possa sperare: quello di aver reso un servizio alla collettività. Il giudizio del Pulitzer 2014 ricorda, in questo, la Commissione che nel 1972 conferì il Pulitzer per il “public service” al “New York Times” per gli articoli sui Pentagon Papers che svelarono atrocità e menzogne della guerra in Vietnam.
Il giudizio del Pulitzer mostra come, dopo un iniziale disorientamento, l’opinione pubblica USA stia cominciando a collocare sotto una luce nuova, e per nulla negativa, le rivelazioni di Snowden. Alcune settimane fa proprio il “whistleblower” aveva partecipato al “South by Southwest” di Austin in videoconferenza da Mosca. In quell’occasione le sue accuse al governo americano, reo di aver “tradito” la Costituzione, erano state accolte con entusiasmo dai presenti al festival e avevano raggiunto in diretta streaming migliaia di persone, negli Stati Uniti e nel mondo.
Com’è tradizione, il Pulitzer non è stato assegnato ai singoli giornalisti che hanno materialmente seguito il caso Snowden – Glenn Greenwald ed Ewen MacAskill per il Guardian, Barton Gellman per il Washington Post, oltre alla filmmaker Laura Poitras, che ha collaborato con entrambe le testate – ma è andato alle organizzazioni per cui questi hanno lavorato (il tempo passato è il più appropriato: Greenwald e la Poitras hanno fondato “First Look Media”, un colosso dell’informazione che vuole fare giornalismo investigativo, mentre Gellman è diventato un free-lance che collabora occasionalmente con il “Post”). Per il quotidiano della capitale, che ha da poco un nuovo proprietario, Jeffrey Bezos (il fondatore di Amazon), e un nuovo direttore, Marty Baron, si è trattato di un anno particolarmente propizio. Oltre al premio per il “pubblico servizio”, la coppia Bezos-Baron porta infatti a casa anche quello per il “giornalismo esplicativo”, assegnato a Eli Saslow, autore di una serie di articoli sulle famiglie americane che vivono grazie ai buoni pasto.
All’altra grande colonna del giornalismo americano, il “New York Times”, sono invece andati i due Pulitzer per la fotografia (a Tyler Hicks per le immagini dell’attacco terroristico al centro commerciale di Nairobi del settembre 2013 e a Josh Haner per il reportage su un sopravvissuto alle bombe alla maratona di Boston). Se il “Boston Globe” si aggiudica il riconoscimento nel settore “breaking news” per la sua copertura proprio del massacro alla maratona, il premio per la migliore fiction va a “The Goldfinch” di Donna Tartt; quello per la migliore opera teatrale a “The Flick” di Annie Baker; e quello per la musica a “Become Ocean” di John Luther Adams.
Nell’insieme, il Pulitzer 2014 rivela una serie di interessanti tendenze. Non ci sono stati premi specifici all’editoria elettronica, anche se il caso Snowden è anzitutto esploso in rete (con il celebre video dell’intervista della “talpa” a Greenwald nell’hotel di Hong Kong). Il dato segnala che la “rivoluzione tecnologica” è avvenuta e l’on-line un dato di fatto ormai accettato e normale. Il premio 2014 riconosce anche il ruolo centrale che il britannico “Guardian”, arricchitosi di un’edizione USA, svolge da tempo nella politica e nella società americane. E’ la prima volta che un giornale “straniero” assurge a un simile status negli Stati Uniti; diventando dunque, insieme al “New York Times”, l’altro grande quotidiano “globale” al mondo. Infine il Pulitzer 2014 sancisce implicitamente il ruolo che figure ibride come quella di Glenn Greenwald svolgono in ambito giornalistico. A Greenwald, un avvocato/militante per i diritti civili, da sempre in prima linea con commenti partigiani e controversi, va infatti il premio più alto di un giornalismo, quello anglosassone, che nel passato ha sempre privilegiato obiettività e distanza critica.